Startup experience, Arese Lucini (Uber): «Pronti a espanderci nel sud Italia»

Sharing economy in scena all’incontro promosso da Polihub. La country manager dell’azienda californiana annuncia che il servizio alternativo ai taxi approderà in altre città. E Petrelli di BeMyEye: «Possiamo dare lavoro a tutti. Si guadagna fino a 5mila euro»

Pubblicato il 12 Feb 2015

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Sala piena, ricettiva. Evento che si prolunga un’ora più del previsto. Segno che la sharing economy, argomento sul quale ha puntato PoliHub per parlare di disruptive innovation per il suo secondo appuntamento con Startup Experience, è caldo. «Fare sharing economy è proprio un mestiere da startup», sottolinea Stefano Mainetti, consigliere delegato del Polihub. «Le grandi aziende sono ancora indietro».

E una startup arriva sotto i riflettori. Gian Luca Petrelli con la sua BeMyEye è stato il protagonista dell’incontro pensato dall’incubatore del Politecnico di Milano, in collaborazione con EconomyUp, per trasferire l’esperienza di startup di successo ad aspiranti startupper, analisti, investitori. Petrelli ha avuto a disposizione un pitch di 10 minuti, spezzato continuamente da domande e interventi provenienti dalla platea e dagli altri ospiti, per raccontarsi.

Come spesso accade, anche alle origini di BeMyEye c’è un bisogno non soddisfatto, la mancanza di un servizio che dovrebbe esserci e non c’è, che emerge dall’attività quotidiana del suo fondatore. Siamo nel 2010, Petrelli, che oggi ha 42 anni, dopo alcune esperienze manageriali in multinazionali, sta portando avanti la commercializzazione di prodotti alimentari made in Italy negli Usa e vorrebbe sapere se nei supermercati la sua merce viene esposta con la visibilità per la quale lui ha pagato.

«Avevo contattato varie aziende per fare un monitoraggio e mi avevano chiesto cifre pazzesche. Alla fine tutto quello che c’era da fare era la foto a un prodotto. Un compito così semplice che tutti possono svolgere. Soprattutto chi al supermercato c’è già per fare la sua spesa». Un’idea che, dopo una gestazione abbastanza lunga («non c’era nulla del genere al mondo, è stato come inventare l’automobile») diventa impresa nel marzo 2013. BeMyEye adesso ha circa 45mila eyers in Italia, ha appena aperto una filiale in Germania e, a breve, punta a sbarcare in altri tre Paesi Europei.

Ecco la disruptive innovatione di BeMyEye: riesce ad abbattere totalmente i costi del trasporto e della trasferta delle persone per svolgere un compito. Il lavoro viene fatto da chi già si trova sul posto, con i suoi mezzi. «Alla base – spiega Petrelli – c’è un concetto di fiducia rovesciato. Noi diamo a tutti la possibilità di lavorare con noi, non ci sono sbarramenti all’ingresso se non quello di essere maggiorenni, avere uno smartphone e abitare nel comune che ci interessa. Poi, attraverso un sistema di incentivi, spingiamo a fare bene il monitoraggio: rimangono solo i migliori”. Che arrivano a guadagnare fino a 5000 euro all’anno (solo perché con l’attuale normativa non è possibile pagare oltre per un collaborazione occasionale).

Non si poteva parlare di sharing economy senza parlare di Uber. Ed è stato fatto molto e animatamente con Benedetta Arese Lucini, Regional General Manager dell’azienda californiana che ha messo in crisi il mercato dei taxi. La Arese ha raccontato il momento in cui i fondatori di Uber, nato come un club di amici, hanno capito che stavano facendo qualcosa di “disruptive”.

Qualcosa che rapidamente è cresciuta fino ad arrivare a una valutazione monstre di 45miliardi di dollari. Uber continua a crescere, nonostante le polemiche e le disfide legali, anche in Italia . «Ci stiamo allargando», ha anticipato la Arese. «Adesso siamo in 12 e a fine arriveremo a 30. Puntiamo ad arrivare presto in altre città». Quali è ancora top secret. «Mi piace guardare a sud», riesce a sfilarle Giovanni Iozzia, direttore di EconomyUp e moderatore dell’evento, che azzarda un’ipotesi-Napoli.

«La sharing economy non è una moda», conclude Mainetti. E concordano Andrea Boaretto, head of marketing projects school of management del Politecnico di Milano, e Daniela Selloni, phd, service designer & researcher Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. I messaggi finali sono chiari. E si alimentano dagli interventi di tutti i partecipanti.
1) Non si torna indietro. Anche perché chi sta già lavorando con i principi della sharing economy ha di fatto creato delle reti, delle infrastrutture immateriali, e non solo, di grande valore.

2) L’impatto sociale è grande e la sharing economy è anche un’opportunità enorme per la sharing economy.

3) Ora serve, e il caso Uber è forse uno degli esempi più eclatante, l’intervento del legislatore e un apparato di regole che accolgano il cambiamento. A vantaggio di tutti.

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