Parla il nuovo rettore dei rettori: le università motore della ripresa

Gaetano Manfredi, che guida la Federico II di Napoli, dice a EconomyUp subito dopo l’elezione a presidente della Crui: «Il 75% della ricerca in Italia è negli atenei, si moltiplicano spin-off e startup.Ora cerchiamo di attrarre gli investitori». «Creiamo spazi di commistione fra formazione e costruzione di impresa»

Pubblicato il 23 Set 2015

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Gaetano Manfredi, neo presidente Crui

“Le università non devono essere solo centri di formazione e ricerca, ma motori dello sviluppo economico dei territori e della società: per questo occorre favorire le potenzialità relazionali tra atenei e imprese. Un elemento chiave per la ripresa del Paese”: lo dice in un’intervista a EconomyUp Gaetano Manfredi, eletto oggi nuovo presidente della Crui (Conferenza dei Rettori delle Università italiane). Rettore dell’Università di Napoli Federico II, 51 anni, ingegnere e docente di Tecnica delle Costruzioni presso l’ateneo partenopeo, Manfredi, che succede a Stefano Paleari alla guida della Crui, dice: “Tutti i paesi avanzati stanno investendo nella conoscenza perché è l’unico strumento per inserirsi nella competizione globale. Per questo le università sono importanti”.

Qual è in sintesi il suo programma per gli atenei italiani?
Il tema fondamentale è rafforzare il sistema nazionale, sia aumentando la capacità di attrarre i giovani attraverso un sistema più efficiente di diritto allo studio, sia attraverso una maggiore offerta didattica che guardi in particolare alle lauree professionalizzanti, quelle maggiormente in grado di garantire un lavoro una volta terminati gli studi. È inoltre importante che le nostre università non siano solo centri di formazione e ricerca, ma agenti sociali ed economici, motori dello sviluppo e della trasformazione dei territori e della società. Per questo occorre favorire le potenzialità relazionali tra atenei e mondo economico.

Come migliorare il rapporto tra università e imprese?
Da un lato bisogna lavorare sul placement dei nostri studenti, quindi avere un dialogo continuo con le aziende per capire quali sono le competenze percepite come più spendibili nel mondo del lavoro. Dall’altro lato occorre continuare a stimolare la ricerca. Il 75% della ricerca in Italia viene svolta presso le università. Penso gli spin-off universitari e alle startup, che stanno vivendo un momento di grande fermento, ma penso anche alle attività di sviluppo e ricerca applicata svolte dalle università con le imprese e per le imprese.

Di recente c’è stato il caso Vislab, spin-off dell’Università di Parma acquistato dall’americana Ambarella per 30 milioni di dollari. Come fare per far nascere altri VisLab in Italia?
Dobbiamo investire sulla creatività delle persone. Non esiste una formula magica, ma occorre garantire opportunità a chi ha un’idea competitiva e ne dimostra la fattibilità, fornendogli il giusto supporto per poter partire. È la strada che hanno seguito tutte le startup di successo. In particolare nelle università bisogna creare un ambiente favorevole.

Come?
Per esempio incentivando la crescita della cultura per la protezione delle idee, individuando spazi dove ci sia una commistione anche fisica tra formazione e costruzione d’imprese, cercando di attrarre finanziatori o venture capital.

I venture capitalist sono interessati a questo mondo?
La mia esperienza è di una grandissima attenzione dei fondi di venture capital nei confronti delle realtà universitarie. Del resto la maggior parte delle idee nasce nelle università.

E lo Stato? Servono altri fondi pubblici?
Già esistono forme di incentivazione, ma è importante che ci sia un capitale di rischio. È una chiave per la ripresa.

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