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Open innovation, il test dello spazzolino prima di comprare una startup

“È qualcosa che userai una o due volte al giorno e che renderà la tua vita migliore?”. È la domanda che dovrebbe farsi un’azienda, secondo il co-fondatore di Google Larry Page, prima di acquisire una nuova impresa. Ecco perché lo hanno fatto numerose multinazionali, soprattutto digitali ed ex startup

Pubblicato il 08 Ago 2016

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Vuoi acquistare una startup? Lo puoi fare solo se i suoi criteri corrispondono al test dello spazzolino. Il suggerimento, che solo a prima vista può apparire singolare, è di Larry Page. In pratica, dice il  co-founder di Google, prima di procedere a un’acquisizione bisogna chiedersi: “È qualcosa che userai una o due volte al giorno e che renderà la tua vita migliore?”. Proprio come lo spazzolino. Ovvio che i canonici criteri di valutazione adottati abitualmente dalle grandi aziende vanno a farsi benedire…

MIGLIORARE UN SERVIZIO E RISPONDERE ALLA CONCORRENZA

Qual è il senso dello spazzolino per una corporate? Migliorare un prodotto o un servizio, per esempio, se non la vita. Come ha fatto proprio il colosso di Mountain View l’anno scorso quando ha acquisito la startup portoghese Digisfera. Fondata nel 2011, la società ha il suo core business nello sviluppo di una tecnologia dedicata alla realizzazione di scatti panoramici (è stata utilizzata ad esempio nell’inaugurazione del mandato di Barack Obama alla presidenza Usa). Attraverso questa operazione – della quale non sono stati forniti i dettagli economici – Google ha voluto migliorare il suo servizio Street View, che necessita di costanti aggiornamenti e miglioramenti per riuscire a fornire immagini in linea con la realtà del luogo che si sta osservando. Certo, lo spazzolino a volte può servire anche a rispondere ai concorrenti. Infatti, sempre lo stesso anno Apple  ha comprato la startup californiana Mapsense – la cifra si aggira tra i 25 e i 30 milioni di dollari – fondata da Erez Cohen nel 2013. Si tratta di una società che ha sviluppato un sistema cloud e ad alta velocità per la mappatura delle strade, in grado di includere numerosi dati analitici altrimenti complessi da archiviare. Da parte loro, i clienti possono caricare una grande mole di dati di geolocalizzazione, acquisendo una visualizzazione personalizzata, filtri per la ricerca e strumenti d’analisi avanzati. Occorre ricordare che Mapsense non è l’unica startup acquisita da Apple con l’obiettivo di migliorare la propria applicazione Maps; ad inizio del 2015, infatti, la società di Cupertino aveva messo le mani su Coherent navigation – una piccola azienda di Gps fondata nel 2008 da Paul Lego, William Bencze e Brett Ledvina – che fornisce la tecnologia di mappatura per le industrie della difesa e della linea aerea.

ANCHE I LEADER HANNO BISOGNO DELLE STARTUP

Che cosa insegna le operazioni portate a conclusioni con startup nel 2015 da parte di multinazionali tecnologiche? Che anche i leader può aver bisogno di soluzioni trovate da società piccole e apparentemente decentrate. Prendiamo il caso di Microsoft, che certo la sa lunga in fatto di sicurezza, ma che ha acquisito Secure Islands, società israeliana attiva dal 2006 che si occupa di sicurezza informatica (un ambito in cui il paese eccelle, considerando anche il gran numero di startup impegnate in questo comparto). Costo dell’operazione: tra i 77 e i 150 milioni di dollari. “Questa acquisizione accelera la nostra capacità di aiutare i clienti a proteggere i propri dati aziendali ovunque vengano archiviati, che si tratti di sistemi locali, servizi cloud Microsoft, servizi di terze parti o qualsiasi dispositivo Windows, iOS o Android”, ha comunicato l’azienda. L’operazione è stata conclusa sulla scia, da parte di Microsoft, dell’acquisto di Aorato, la startup per la sicurezza del cloud ibrido (200 milioni di dollari) e di un’altra società sempre impegnata nella sicurezza del cloud, l’Adallom (320 milioni di dollari).

LA LEZIONE DELLE EX STARTUP

C’è molto da imparare dalla nuove multinazionali digitali che sono state startup e hanno precisi percorsi di crescita attraverso l’acquisizione di nuove startup. Vediamo le due acquisizioni nteressanti per Facebook nel 2015. La prima è quella che ha interessato la startup per il riconoscimento vocale wit.Ai, fondata tre anni fa da Alexandre Lebrun, Willy Blandin e Laurent Landowski. Si tratta di una piattaforma dedicata agli sviluppatori con migliaia di developer che collaborano al progetto: mentre mettono a punto meccanismi di riconoscimento vocale ai quali ricorrono – ad esempio, per i loro siti e le loro applicazioni principalmente dedicate al mondo degli oggetti indossabili e all’Internet of Things – contribuiscono a migliorare le conoscenze della community. Dunque nulla impedisce di abilitare il sistema anche per “vivere” Facebook almeno in buona parte con la voce, pubblicando post oppure esprimendo “like” quasi in automatico, magari mentre siamo impegnati in tutt’altro. Al contempo, però, il social network guidato da Mark Zuckerberg vuole fare in modo che i suoi utenti siano in grado di caricare video direttamente sul sito piuttosto che linkarli da altri portali (vedi YouTube). Da qui l’acquisto della startup Quickfire con sede a San Diego, in California. “Siamo felici di aiutare a offrire video di alta qualità agli utenti di Facebook”, le parole del suo amministratore Craig Lee. Ad ogni modo, così come per wit.Ai, il costo dell’operazione non è stato reso pubblico.

Da un grande social network ad un altro. Il riferimento è a Twitter, che ad inizio 2015 ha annunciato l’acquisizione di Zipdial – l’operazione è valsa tra i 30 e i 40 milioni di dollari, anche se la cifra esatta non è stata rivelata – una società indiana specializzata nel marketing via dispositivi mobili. Nel dettaglio, Zipdial opera soprattutto in zone a bassa connettività, distribuendo numeri telefonici per chiamate commerciali, per recapitare agli utenti, e a possibili acquirenti, una serie di offerte via sms. Un’acquisizione “per rendere Twitter ancora più accessibile alle persone di tutto il mondo, aumentando in modo significativo l’investimento in India, uno dei paesi visti in grande crescita”, ha comunicato la società californiana. Inoltre, sempre lo scorso anno Twitter ha acquistato la startup Whetlab, attiva nel comparto dell’intelligenza artificiale, perseguendo così la strada tracciata a fine luglio del 2014, quando mise le mani su Madbits, un’azienda focalizzata sulle immagini e sulla visual intelligence (in entrambi i casi i termini delle operazioni non sono stati resi noti). L’obiettivo? Ricorrere al know-how acquisito per suggerire, tanto agli utenti quanto agli inserzionisti, tweet compatibili con i gusti e le preferenze espresse, proseguendo al contempo l’incessante battaglia ingaggiata contro troll e utenti inopportuni.

Non solo social networks. A scendere in campo per acquistare una o più startup – tra la fine dello scorso anno e l’inizio del 2016 – anche General Motors, che ha investito 500 milioni di dollari in Lyft, società californiana nota per i suoi servizi di car sharing contraddistinti da auto con i baffi rosa. Una joint venture che punta in particolare a sviluppare la mobilità del futuro, vale a dire vetture autonome che ci guideranno in città senza alcun bisogno di conducenti. Spazio anche a una realtà come Just Eat, marketplace digitale internazionale con sede a Londra specializzato nella consegna di cibo a domicilio, che nel 2015 ha raggiunto un accordo per l’acquisizione di quattro attività di Rocket Internet, colosso europeo del settore di stanza a Berlino, e con foodpanda, altra startup berlinese attiva nel comparto (supportata da Rocket Internet), per un importo pari a 125 milioni di euro. L’acquisizione riguarda le attività relative alla consegna online di cibo a domicilio in Italia (HelloFood Italia e PizzaBo), Spagna (La Nevera Roja), Brasile (hellofood Brazil) e Messico (hellofood Mexico). “Questa transazione riflette la nostra ambizione di effettuare acquisizioni strategiche e di valore che possano consolidare la nostra leadership del marketplace digitale globale”, il commento di David Buttress, Ceo di Just Eat.

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