Il consiglio

Maris (Google Ventures): «Startup, quotatevi in Borsa o perderete soldi»

Il capo della società di venture capital di Google invita le neo imprese a lanciare l’Ipo: «Aspettano che la valutazione cresca, ma collocano l’asticella troppo in alto: gli investitori privati sono diventati prudenti». E su Uber, finanziata anche da GV: «Sono certo che stanno pensando a Wall Street»

Pubblicato il 09 Dic 2015

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Bill Maris, presidente di Google Ventures

Le startup tecnologiche stanno “aspettando troppo a lungo per quotarsi in Borsa”: a dirlo è Bill Maris, presidente e managing partner di Google Ventures, che a breve sarà ribattezzata GV. Nato nel 2009 con l’intento di investire in nuovi progetti e idee vincenti in campo tecnologico, il venture capital di Google ha in portfolio circa 300 società, tra le quali casi di successo come Uber, Nest, Slack, Foundation Medicine, Flatiron Health e One Medical Group.

Cosa è e come funziona Google Ventures

Maris, dunque, è un capitano di lungo corso che dovrebbe sapere dove approderà la nave. E, a suo parere, le navi-startup devono affrettarsi a lanciare l’Ipo (Initial public offering), altrimenti potrebbero perdere denaro e opportunità di crescita.

Come ha spiegato in una recente intervista al Financial Times, molte delle aziende che sono attualmente leader nel settore tecnologico, quali Uber, società californiana fornitrice di un’applicazione per chiamare auto a noleggio da smartphone, o Airbnb, piattaforma che consente di dare in affitto parti della propria casa o la casa intera per brevi periodi, hanno evitato di quotarsi il più a lungo possibile. Nel frattempo hanno raccolto ingenti somme di denaro da successivi round di investimenti da parte di privati. Uber è arrivata alla quotazione record di 50 miliardi di dollari e in questi giorni ha dato il via a un nuovo round di finanziamenti: in cerca di nuovi investitori, o di un nuovo impegno da investitori esistenti, i fondi che raccoglierà questa volta faranno schizzare la valutazione della startup californiana a ben 62,5 miliardi di dollari. Più di Ford o Time Warner, solo per fare qualche esempio. Cifre straordinarie sulle quali da tempo si interrogano gli analisti, alcuni paventando il ritorno di una bolla di Internet dopo quella del 2000.

Forse sulla scia di questi casi, alcune startup tendono ad aspettare che la loro valutazione cresca, piuttosto che decidere di vendere le proprie quote al pubblico degli investitori e dei risparmiatori. “Stanno collocando l’asticella così in alto – dice Maris – che si rendono la vita difficile da sole. Ci saranno conseguenze negative e molte di loro perderanno un sacco di soldi”.

Sempre secondo il capo di Google Ventures, il prossimo anno diverse startup non riusciranno a raccogliere altro danaro nei mercati privati oppure saranno costrette ad accettare valutazioni più basse. Questo perché gli investitori che finora si sono accapigliati per finanziare aziende quali Uber, Airbnb e Snapchat nelle ultime settimane sono diventati più restii a rischiare, specialmente dopo il caso Theranos. La startup biotech della Silicon Valley, che ha ideato un modo di eseguire gli esami del sangue grazie a poche gocce prelevate dal dito, è arrivata alla valutazione di 9 miliardi di dollari, ma ad ottobre sono sorti dubbi sulla sua attività: in particolare è stata accusata di non utilizzare la tecnologia innovativa per tutti gli esami del sangue che mette a disposizione.

“C’è meno denaro, più paura, più prudenza” prosegue Maris. Inoltre, con i tassi di interesse che stanno aumentando negli Usa, i privati stanno diventando sempre meno “amici” delle startup.

Il venture capitalist Marc Andreessen, uno dei più convinti sostenitori dei mercati privati, ha detto il mese scorso che gli piacerebbe vedere le società che ha finanziato restare private per 15 anni. Ma secondo il presidente di Google Ventures questo priverebbe investitori e dipendenti, che sono stati remunerati in parte con azioni, della possibilità di venderle al prezzo di mercato stabilito da Wall Street, invece che dai mercati privati, a suo dire molto più opachi. “Non vedo molti esempi di società ad elevato ritmo di crescita che restano private per 15 anni” ha aggiunto Maris.

Infine, alla domanda se Uber, l’azienda più rilevante finora finanziata da Google Ventures, stia progettando un’Ipo, Maris ha risposto: “Sono sicuro che ci stanno pensando, perché so che le persone glielo chiedono tutto il tempo. Ovviamente la società è un ottimo candidato e gestisce un grande business”.

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