«Il coworking è un modello per fare sistema»

Davide Dattoli, 23 anni, entra nel Consiglio direttivo di Italia Startup per portare l’esperienza di Talent Garden. «Noi aggreghiamo comunità digitali». 5 nuove aperture, di cui 2 all’estero, nel 2014. «Dobbiamo imparare a lavorare insieme e smettere di fare guerre nazionali. L’unico mercato è quello internazionale»

Pubblicato il 17 Lug 2014

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Davide Dattoli, fondatore di Talent Garden

Ha solo 23 anni, ma è già un pioniere Davide Dattoli, visto che ha fatto la storia del co-working in Italia con Talent Garden. L’ingresso nel Consiglio Direttivo di ItaliaStartup, con l’Assemblea di venerdì 18 luglio, è l’ultimo riconoscimento in ordine di tempo, ed “istituzionale”, del lavoro fatto.

Tutto è cominciato alla fine del 2011, con il primo spazio inaugurato a Brescia, la sua città. Sembrava l’idea stramba di un ragazzino quella di mettere insieme nello stesso spazio nuove imprese e professionisti. Ma ha funzionato ed è arrivato fino a New Yor, forse perché non c’era, e non c’è, solo una visione “immobiliare” alla base del progetto. «Volevo creare un luogo dove diversi talenti potessero incontrarsi e contaminarsi», ricorda Dattoli. «Per me quello immobiliare è sempre stato solo uno strumento per aggregare comunità digitali». E adesso porta qusta esperienza, e questo modello dentro l’associazione Italia Startup.

Quanti sono adesso i vostri spazi?
«Talent Garden è in 8 città italiane. Ci lavorano e vivono, come diciamo noi, più di 500 persone. Solo nel 2013 hanno organizzato od ospitato più di 300 eventi che hanno visto la partecipazione di 35 mila persone».

Prossime aperture?
In settembre apriremo a Cosenza: sarà il primo TAG del Sud, con una squadra tutta al femminile. Nel 2014 abbiamo in programma altre quattro inaugurazioni: due in Italia e due all’estero.

Dove?
Stiamo definendo gli ultimi dettagli. Non sarà Londra, non sarà Berlino. Saranno due città europee di due ecosistemi secondari. Il nostro metodo è partire da mercati periferici per poi connetterli con quelli primari. E in questo senso va l’apertura a New York in programma nel 2015.

Come siete arrivati a New York?
A fine 2013 siamo stati selezionati per il concorso Take the H.E.L.M. organizzato dalla città di New York, e fortemente voluto dall’ex sindaco Bloomberg, per individuare le idee più innovative in giro per il mondo. Sarà una bella soddisfazione esportare un modello che in qualche modo abbiamo importato ma mettendoci del nostro.

Ma i conti tornano? Spesso si dice che il co-working non sia un modello economicamente sostenibile…
«È sostenibile, e per noi profittevole: l’anno scorso abbiamo superato il milione di ricavi e quest’anno puntiamo al raddoppio. E non abbiamo avuto alcun finanziamento. Il modello funziona se non punti solo a farti pagare la scrivania, se diventa un aiuto al territorio. Il valore, quindi, sta nella comunità che crei, negli eventi e nelle attività che organizzi a livello locale. La nostra forza sono i nostri founder in giro per l’Italia…Noi siamo una federazione in cui ogni singolo TAG è l’espressione e il punto di ritrovo delle migliori comptenze imprenditoriali e digitali.

Adesso il coworking trova spazio in Italia Startup. Che argomenti e proposte porterà?
Fino ad oggi nell’associazione c’erano startup, incubatori ma mancavano gli abilitatori, quei player come noi che hanno l’obiettivo di far crescere l’ecosistema. Quello che intendiamo portare è la voce della community che rappresentiamo, la nostra capacità di essere sui territori ma anche a livello internazionale: abbiamo rapporti già avviati in 30 città in giro per il mondo.

Quali sono le priorità per l’ecosistema startup?
Ne basta una: fare sistema fra player esistenti guardando al mercato internazionale, che è l’unico, e dove l’Italia non è ancora riconosciuta e riconoscibile. Quindi lavorare insieme, non farsi la guerra per fregarsi la startup o un pezzo del minuscolo mercato nazionale.

Tutti, a parole, vogliono fare sistema. Che cosa significa concretamente?
Io penso, per esempio, alle attività di TAG che hanno avuto i migliori risultati nel 2013: portare le startup italiane a raccontarsi in tutti gli eventi internazionali. Ma anche portare in Italia le più accreditate personalità internazionali dell’innovazione digitale. Dobbiamo conoscere e farci conoscere. Dobbiamo aprirci al mondo se vogliamo che anche in Italia nasca qualche startup che possa avere un successo globale. Se restiamo chiusi, non succederà mai. Le buone leggi e le agevolazioni aiutano, ma serve anche un sostegno concreto e quotidiano a chi sta facendo impresa e non può non guardare al mondo.

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