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Brexit e startup, che cosa succede se UK esce dall’Europa

Oggi il Regno Unito vota sulla permanenza nell’Unione. EconomyUp ha chiesto a imprenditori e innovatori italiani attivi a Londra previsioni ed effetti di un’eventuale uscita. Ecco gli interventi di Cesareo (DirectaPlus), Cimminelli (iStarter), D’Atri (Soundreef), Di Benedetto (FashTime) e Tresca (Level39)

Pubblicato il 23 Giu 2016

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Il referendum di oggi, in cui i cittadini del Regno Unito sono chiamati a scegliere se rimanere o meno nell’Unione europea, è un argomento a cui tutta Europa (e non solo) sta dedicando grande attenzione. Il tema riguarda anche il mondo dell’innovazione perché le startup hanno un legame particolare con Londra, che è a tutti gli effetti la capitale europea delle nuove imprese innovative con 8,2 miliardi di euro di investimenti (dati aggiornati al 2016), 207 miliardi di fatturato e 274 mila startup attive. Tra queste ci sono anche quelle fondate e sviluppate in Gran Bretagna da italiani o altre che operano sul mercato britannico.

EconomyUp ha chiesto ad alcuni imprenditori e innovatori italiani attivi in UK cosa ne pensano della Brexit e quali conseguenze ritengono possa avere sul futuro dell’imprenditoria innovativa.

Cesareo (DirectaPlus): la Brexit non ci sarà ma anche se succedesse…
Nell’intervento del ceo della società italiana quotata sull’Aim di Londra che fornisce materiali a base grafene, c’è ottimismo: «Gli inglesi ragionano con il portafoglio. Comunque i nostri investitori ci hanno rassicurato anche nel caso peggiore».

Brexit, Soundreef: «Se il Regno Unito fosse stato fuori dalla Ue non saremmo mai nati»
Il ceo della startup che da Londra fa intermediazione di diritti d’autore anche in Italia: «Fuori dall’Unione le startup inglesi non potrebbero più avvantaggiarsi delle norme europee sul libero scambio di beni e servizi. Che per noi è il faro nella nebbia».

Simone Cimminelli, MD di iStarter

Cimminelli (iStarter): «In caso di Brexit per le startup sarà complicatissimo trovare talenti»
Il Managing Director di iStarter, acceleratore che fa da ponte per le giovani imprese italiane che vogliono operare in UK spiega: «Oltre a diventare una piazza di minore appeal, Londra potrebbe diventare problematica anche per il recruiting: già ora è difficile trovare un developer»

Mauro Di Benedetto (FashTime): «L’uscita dalla Ue è pericolosa per le startup»
Caos regolatorio, minore possibilità di assumere talenti, forte riduzione degli investimenti in venture capital, problemi di natura fiscale: sono le conseguenze di un’eventuale Brexit secondo il ceo italiano di FashTime, startup basata a Londra che fornisce un’app per il mondo del fashion.

Tresca: «Se Uk lascia l’Europa le startup italiane potrebbero preferire Berlino»
Secondo l’avvocato e mentor dell’acceleratore Level39, nonché blogger di EconomyUp, la Brexit non avrà effetti sugli italiani che vivono a Londra. Le giovani imprese? Potrebbero andarsene. Ma non quelle del fintech, dove la Gran Bretagna è e resta leader.

E cosa dicono le principali testate in UK e in Usa dell’effetto che la Brexit potrebbe avere sulle startup? Ecco alcune delle riflessioni più significative.

Guardian: le startup dicono che sarebbe un grosso danno
Il Guardian riferisce della lettera “Entrepreneurs for In” scritta da oltre 200 startup e aziende a favore della permanenza nell’Ue. Società come Skype, Zoopla e Net-a-Porter (che si è fusa, come è noto, all’italiana Yoox) hanno scritto che le startup, in UK, hanno beneficiato del poter “fare affari con il mercato unico europeo, composto da 500 milioni di consumatori, con un solo set di regole in 28 Paesi, e dell’assumere il miglior personale qui e in Europa”. In più, si legge nella lettera, le riforme volute da David Cameron nella sua recente rinegoziazione della partecipazione del Regno Unito all’Ue hanno “creato opportunità ancora maggiori per le nostre aziende”. Andarsene creerebbe “uno shock economico… enormemente dannoso per i nostri business, farebbe perdere investimenti, opportunità e posti di lavoro”.

Forbes: La fine della Londra imprenditoriale
La fine della Londra delle startup. È questo secondo Forbes il rischio in caso di Brexit. Da una parte – spiega il magazine americano – le grandi aziende tiferebbero per mantenere lo status quo, mentre le piccole sarebbero per il no, come testimonia anche l’appello pro-Brexit di 200 Pmi di cui riferisce il Telegraph. Le startup, dal canto loro, per quanto ancora di piccola dimensione in alcuni casi, ragionano più da aziende internazionali e sono terrorizzate per i problemi che si avrebbero nel trovare personale, nell’avere accesso ai mercati come adesso, nelle difficoltà della sterlina e di tutta l’economia. Taavet Hinrikus, ceo di TransferWise, dice al sito che “sarebbe folle per il Regno Unito lasciare l’Unione europea”. E continua: “Come molte aziende a Londra abbiamo scelto di mettere la sede qui per la facilità di accesso ai mercati e ai talenti. Se UK se ne va, dovremo considerare se ha ancora senso mantenere una sede qui”.

Cnbc: un problema per chi lavora nelle startup, compresi i talenti britannici
Il network americano Cbnc sottolinea come la Brexit creerebbe grossi problemi nelle questioni legate al lavoro nelle startup. Non solo per i cittadini stranieri ma anche per i britannici. Emblematica la testimonianza di Charlotte Morris, manager per il Nord Europa dell’app per le lingue Babbel, che ha sede in Germania: “Per lavorare con successo sul mercato UK, abbiamo bisogno di talenti britannici qui a Berlino. Limitare la libertà di movimento danneggia le opportunità dei lavoratori britannici di muoversi all’estero e in caso di Brexit, lo status giuridico e il diritto di lavorare degli inglesi che già fanno parte del nostro team diventerebbe incerto“.

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