L‘analisi

Venture capital, in Italia vale l’1% dei finanziamenti privati alle imprese

Secondo i dati di Aifi nel primo semestre del 2016 gli investimenti sulle startup sono ancora marginali: 35 milioni su un totale di 4,9 miliardi di private equity e private debt. Perché? Anna Gervasoni, presidente Aifi: «In Italia pochi fondi e di piccole dimensioni»

Pubblicato il 20 Ott 2016

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Giudicatelo come volete, il dato è questo. Nel primo semestre del 2016 il venture capital in Italia ha pesato per l’1% sul totale degli investimenti in imprese. La fotografia impietosa del mercato del capitale di rischio l’ha scattata l’Aifi, l’associazione Italiana di Private Equity, Venture Capital e Private Debt, che il 20 ottobre ha diffuso i dati sugli investimenti in Italia nel primo semestre del 2016.

Un dato che però va contestualizzato, perché sui 4,9 miliardi di investimenti totali dei primi sei mesi di quest’anno incidono pesantemente le grandi operazioni. Nello specifico a guidare il mercato sono le operazioni di buy out che da sole hanno raggiunto quota 3,4 miliardi di euro (cioè il 69% del totale); a seguire il replacement con 812 milioni investiti (17% del totale); subito dopo troviamo l’expansion con 534 milioni (11% del totale), poi tutte le altre. Chiude la classifica, come dicevamo, il comparto seed/startup con 35 milioni di investimenti (1% appunto)

Sebbene i dati attestino una crescita significativa delle operazioni di venture capital rispetto al primo semestre del 2015, con un incremento del 77% degli investimenti passati da 20 a 35 milioni, non c’è da stare allegri. Perché, guardando i dati Aifi, il traguardo dei 100 milioni di finanziamenti alle startup nel 2016, tanto auspicato dagli addetti ai lavori, appare più che altro un miraggio. Il ritornello in questo caso è sempre lo stesso: «In Italia i fondi di venture capital sono troppo piccoli per poter competere con quelli del resto d’Europa – spiega Anna Gervasoni direttore generale di Aifi – oltre a non essere numerosi. Ce ne saranno venti in tutto». Tranchant a riguardo Innocenzo Cipolletta, Presidente di Aifi: «Se il private equity continua a fare grandi deal, non si può dire lo stesso per le operazioni di su pmi e startup che registrano anche per questo semestre valori minimi».

Guardando al passato, poi, sembra più che mai irraggiungibile il traguardo del 2012 quando si raggiunse la cifra record di 135 milioni di investimenti. Come riporta questo grafico del Sole24Ore, l’andamento decrescente del 2013 (81 milioni) e del 2014 (43 milioni) è stato interrotto soltanto nel 2015 (74 milioni) sull’onda di un nuovo entusiasmo legato al mondo delle startup. Valori minimi che ci identificano come la tartaruga d’Europa in materia di capitale di rischio. Le lepri stanno altrove, in Francia ad esempio o in Germania dove tra il 2012 e il 2014 sono stati investiti rispettivamente 1,7 e poco meno di 2 miliardi di euro. Mentre in Italia 259 milioni. Se l’innovazione deve correre e le startup italiane diventare grandi a tal punto da tenere testa ai competitor europei, urge un cambio di passo.

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