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Investimenti in startup, il nostro spread è 18

È il moltiplicatore del venture capital negli Stati Uniti, dove nel secondo trimestre 2015 c’è stato un vero e proprio boom, soprattutto nel biotech: 17,5 miliardi di dollari in 6 mesi. In Italia i capitali raccolti sono pari al costo di un caffè l’anno per persona. Battiamo solo la Grecia…

Pubblicato il 27 Lug 2015

Con qualche sofferenza abbiamo di recente commentato i dati italiani del Venture Capital (“VC”) collezionati dal VEM – Venture Capital Monitor: non esaltanti; nessun record; work in progress.

Per riprendere morale ci lanciamo nel party americano e ci gustiamo i dati del MoneyTreeReport edito da Pwc – PriceWaterHouseCoopers e NVCA – National Venture Capital Assocation. Ci limitiamo all’angolo biotecnologico (dove mi sento più a mio agio), forse anche per non morire di invidia: oltre 2,1 miliardi di dollari investiti nel solo secondo trimestre 2015, con il dato per il semestre 2015 a 4 miliardi di dollari; quattro degli ultimi cinque trimestri sono tra i più grandi per capitali investiti degli ultimi 10 anni. In totale 17,5 miliardi.

Il VEM ha segnato 78 milioni di euro in un anno; non per trimestre, non per il solo biotech ma per tutte le startup di tutti i settori, di tutte le regioni di tutta Italia. Considerando che negli Stati Uniti sono circa sei volte noi come popolazione, anche armonizzando il dato (78 milioni di euro x 6 = 468 milioni di euro / 4 trimestri = 117 milioni di euro), oltreoceano si investe 18 volte di più che in Italia. Questo è il nostro spread.

Un secondo dato merita una battuta – report Funderbean: i capitali raccolti pro-capite per investire in startup nel 2014 sono stati, in Italia, pari al costo di un caffè per persona all’anno, 1,17 euro. Ma battiamo la Grecia, ferma a 1,16 euro. Ben un centesimo in meno… Germania è a 24,42 euro, Regno Unito a 49,49 euro per persona all’anno. Nei paesi del nord Europa si raccolgono capitali per startup, quindi si investe nel futuro tra le 20 e le 40 volte più che nei paesi del sud Europa. Ancora, questo è spread.

Uscendo dai freddi (freddi per noi) numeri. Ho due considerazioni che mutuo da Bruce Booth, leggenda del VC biotech americano che pubblica la newsletter “LifeSciVC” (che consiglio a tutti):

  1. In US il boom dell’ultimo trimestre del VC (e del biotech in particolare) si è realizzato con il supporto non solo dei tradizionali VC ma anche con nuovi investitori che sono entrati prepotentemente in azione: hedge fund e fondi generalisti che investono prevalentemente in imprese quotate.
  2. Sono aumentati i capitali investiti in start-up biotech ma non il numero di start-up finanziate.

Entrambi i punti mi paiono veri, con demoltiplicatore significativo, anche per noi: la crescita/tenuta del mercato italiano non è guidata dai VC ma da altri attori, per l’Italia il fenomeno nuovo sono gli investitori privati “informali”. Secondo, le start-up italiane, poche, che chiudono un round (non solo nel biotech) tendono a raccogliere capitali mediamente più significativi che in passato.

Entrambi i fenomeni nostrani mi paiono correlati alla detrazione fiscale a favore delle start-up innovative che ha avvicinato nuovi attori all’ecosistema (i privati) e che ha spinto ad investimenti medi più consistenti. Il massimo per anno per privato per massimizzare il beneficio fiscale è 500 mila euro investiti per singola impresa (detrazione pari a 95 mila euro).

Forse questa, la leva fiscale, è la strada di politica economica corretta per aggiungere al caffè almeno una brioche pro-capite/anno a favore del futuro della nostra economia.

* Pierluigi Paracchi è Chairman & CEO Genenta Science TW@pigiparacchi

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