C’è anche una startup nata da un cappuccino caduto….

SI chiama Sensoria, ha inventato un calzino intelligente ed è l’unica, insieme a Xmetrics, che si può considerare italiana fra le quattro imprese accolte dal gruppo Reply nel suo incubatore e finanziate con 8,6 milioni di euro. Le altre due sono Greeniant e Cocoon. Sviluppano wearable device, analisi di big data per la casa, sistemi a ultrasuoni e tecnologie per sportivi

Pubblicato il 23 Giu 2015

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«Il mondo dell’Internet delle cose sarà enorme, con tanti nuovi prodotti e business model: è necessario esserci e avere a bordo delle startup che portino parte di questa conoscenza in termini strategici e ci irrobustiscano nella capacità di proposta ai clienti». Tatiana Rizzante, ceo di Reply, non ha dubbi: tenersi al passo con l’innovazione puntando solo sulle proprie forze è troppo difficile.

Ecco perché la società torinese specializzata nella progettazione e nell’implementazione di soluzioni IT ha scelto di lanciare lo scorso anno un incubatore di startup, Breed Reply, dedicato a uno dei settori in più rapida evoluzione: l’Internet of Things.

Reply Xchange, l’appuntamento annuale (che quest’anno si è tenuto il 17 giugno all’Università Bocconi) in cui l’azienda presenta innovazioni, risultati (fatturato consolidato 2014: 632,2 milioni di Euro, +12,9% rispetto al 2013; fatturato I trimestre 2015: 169,2 milioni di euro) e trend di sviluppo, è stata l’occasione per incontrare le quattro nuove imprese innovative (Cocoon, Greeniant, Sensoria e Xmetrics) che fanno parte di Breed Reply e su cui l’incubatore ha finora investito complessivamente 8,6 milioni di euro.

Dell’italiana Xmetrics (wearable device per nuotatori), EconomyUp ha raccontato la storia in occasione della vittoria al Premio Marzotto 2014.

Quanto alle altre tre startup, una sola, Sensoria, può essere considerata italiana perché è stata fondata da tre startupper del nostro Paese: Davide Viganò, Mario Esposito e Maurizio Macagno, tre cervelli made in Italy che lavoravano per Microsoft a Redmond, a due passi da Seattle.

Il ceo di Sensoria, Davide, lombardo, era general manager della divisione Health Solution Group. Il cto Mario, salernitano, era program manager per Kinect. E Maurizio, piemontese, era senior program manager per Xbox Live services. Nel 2011 i tre hanno deciso di lasciare la loro attività nel colosso di Internet e di dedicarsi a una startup che sviluppasse dispositivi indossabili. Nello specifico, sensori tessili da applicare a calze e t-shirt per trasformarle in indumenti smart capaci di monitorare le prestazioni sportive.

All’epoca, di wearable device si parlava solo nelle conferenze. Mario, l’inventore di Sensoria, ha pensato a un dispositivo indossabile mentre si trovava in un bar Starbucks. La moglie, con cui stava facendo colazione, gli versa involontariamente del cappuccino sulla scarpa. Ma il dolore per la leggera ustione lascia spazio all’idea: e se mettessimo un sensore all’interno di una calza?

Così, comunica il progetto ai colleghi e dopo poco tempo nasce una startup, Heapsylon, per sviluppare un calzino intelligente. Heapsylon poi diventerà Sensoria, un’azienda con sede a Redmond che al momento dà lavoro a 25 persone.

Per finanziarsi, i tre si rivolgono anche alla rete lanciando il progetto sulla piattaforma di crowdfunding Indiegogo. Dal 2011 al 2014 raccolgono fino a un milione di dollari da parte di business angel americani e a luglio dell’anno scorso chiudono un round serie A con Reply che acquisisce il 20% del capitale per 5 milioni di dollari.

«La calza che Sensoria ha sviluppato è dotata di sensori che misurano pressione e forza del piede», spiega Paolo Sciarra, responsabile marketing della società. «I sensori sono poi connessi con un’app che fornisce in tempo reale informazioni su quanto e su come si corre: la cadenza, i passi al chilometro, il tempo di contatto con il suolo, il numero di passi, il modo in cui il piede atterra».

Il device creato da Sensoria è sia per gli sportivi che per aziende di abbigliamento o di altro tipo che vogliono integrare soluzioni di questo tipo nei loro prodotti. Lo scorso aprile, per esempio, la società ha stretto una partnership con Renault Sport, il “comparto corse” della casa automobilistica francese, per sviluppare un sistema integrato tra pilota e auto in grado di monitorare le performance tecniche e fisiche.

Mentre Xmetrics e Sensoria si concentrano su soluzioni indossabili, le altre due startup hanno invece sviluppato progetti IoT che rientrano nell’ambito della smart home.

Una è Greeniant, una neoimpresa olandese fondata nel 2012 da un ex manager IT, Geert Jan Dirven, che ha realizzato un

apparecchio che consente di sapere in tempo reale, attraverso un dispositivo installato sul contatore dell’energia in casa e collegato ad un’app, quanto consuma ogni singolo elettrodomestico sia in termini energetici che di costi. È per questa capacità di riconoscere subito il consumo di ogni dispositivo che il dispositivo è stato definito «lo Shazam dell’energia».

La tecnologia, che si basa su un’analisi dei big data legati ai flussi di consumo ispirata a un metodo scientifico denominato NILM (Non-Intrusive Load Monitoring), dà la possibilità di utilizzare un solo dispositivo per conoscere più tipi di dati senza il bisogno di installare dei sensori su ogni elettrodomestico.

Il prodotto sviluppato da Greeniant è destinato soprattutto alle aziende erogatrici di energia, che possono offrire l’app ai loro clienti come strumento di engagement. «Le persone non vogliono tanto sapere il proprio consumo di energia quotidiano quanto l’impatto del consumo sul loro budget», dice a EconomyUp il ceo e fondatore della startup, Geert Jan Dirven. «Si fanno domande del tipo: la compagnia energetica ci farà pagare un sovrapprezzo per il consumo straordinario? Se sì, da dove viene questo surplus di consumo?».

Cocoon si concentra invece sulla sicurezza delle case. È una startup del Regno Unito fondata nel febbraio 2014 da cinque giovani: il ceo Dan Conlon, un giovane imprenditore seriale che ha già alle spalle la vendita milionaria (11 milioni di dollari) di una startup, Donhost, creata all’età di 18 anni, Sanjay Parekh (che nel 2013 ha venduto la sua startup Webexpenses), Colin Richardson, Nick Gregory e John Berthels.

«Volevamo realizzare un device per la sicurezza domestica che fosse semplice da configurare, facile da usare, non richiedesse particolari sforzi all’utente e proteggesse tutta la casa attraverso un solo apparecchio», racconta il co-fondatore Colin Richardson a EconomyUp.

Così, è nato Cocoon, un sensore intelligente, grande quanto una tazza di tè, che monitora attraverso gli ultrasuoni ciò che avviene nella casa, stabilisce dei pattern relativi alle attività quotidiane (sulla quantità e qualità di ultrasuoni prodotti) e segnala attraverso smartphone se avviene qualcosa di unusuale, ovvero se le attività registrate nell’appartamento si discostano troppo dalla normalità indicando la possibile presenza di intrusi.

Il dispositivo, che costa di base 350 euro, è dotato di videocamera HD, visione notturna, allarmi, sistema di riconoscimento dei movimenti e Subsound (la tecnologia brevettata che monitora gli ultrasuoni in casa a prescindere dalla stanza in cui è collocato l’apparecchio).

«Entro l’estate comunicheremo probabilmente i nomi delle nuove startup che entreranno a far parte di Breed Reply», dice a EconomyUp il ceo dell’incubatore, Emanuele Angelidis. «Nel frattempo continuiamo il percorso con queste quattro su cui abbiamo investito. Finora abbiamo scelto di rilevare solo quote di minoranza, in quanto non partiamo con l’approccio dell’acquisizione: questa startup sono per Reply una finestra ancora più ampia sul mondo dell’IoT perché sappiamo che è questo il mercato del presente prossimo e del futuro».

Il modello di Breed Reply si discosta da quello di altri corporate accelerator. Come altri, prevede un finanziamento in equity per le

Emanuele Angelidis, amministratore delegato di Breed Reply

startup che accedono all’incubatore ma anziché prevedere un programma di accelerazione “in aula” con tutor ed esperti mette a disposizione delle imprese selezionate un know how transfer (un team di una decina di persone, che si suddividono tra gli uffici principali di Londra e quelli secondari di Milano e Monaco di Baviera, e affiancano le startup nelle funzioni di management), un servizio definito di go to market (la facilitazione di rapporti di business con clienti e partner facendo leva sulla presenza internazionale di Reply sul mercato) e la possibilità di usare le sedi dell’incubatore come spazi in cui fare business o espandersi.

«I riscontri già ci sono», conclude Angelidis. «Solo per fare qualche esempio, attraverso le aziende che fanno parte del network di Reply stiamo mettendo in contatto Greeniant con alcune società energetiche interessate a utilizzare la soluzione da loro ideata. E allo stesso modo, stiamo discutendo con alcune compagnie assicurative che potrebbero acquistare i dispositivi di Cocoon per proporli con le loro polizze».

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