Sportello legale

Che cosa fare quando la startup naufraga

Per le startup innovative ci sono regole di favore anche quando scoppia la crisi. Non c’è fallimento, ma bisogna comunque avviare una procedura che può chiudersi in pochi mesi. Un avvocato spiega come comportarsi per chiudere bene la parentesi negativa. E quando scatta il rischio penale

Pubblicato il 06 Nov 2014

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Scommettere sull’innovazione, ma con quali rischi? Il legislatore, realisticamente, ha considerato che gli investimenti in attività altamente innovative siano fisiologicamente più rischiosi, e che, pertanto, per promuovere tali investimenti si rendesse necessario prevedere una disciplina di favore non solo per la costituzione e gestione della start-up innovativa, ma anche per la sua eventuale crisi.

Con il D.L. 179/2012 è stato quindi stabilito che sintantoché la start-up possa essere qualificata innovativa, ossia nei primi quattro anni dalla costituzione della società e a condizione che permangano i requisiti richiesti per l’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, non può essere dichiarata fallita, né può essere sottoposta ad altre procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare. I creditori, quindi, non possono provocare l’apertura di procedure concorsuali, ma solo agire individualmente in via esecutiva. La STI, per paralizzare tali azioni e, comunque, per trovare una soluzione unitaria che le consenta di superare la crisi finanziaria, ha a disposizione due strumenti, regolati dalla L. 3/2012 sul sovraindebitamento: il procedimento di composizione della crisi mediante un accordo con i creditori e quello di liquidazione dei beni.

Dell’eventuale apertura di tali procedure viene data pubblicità nel registro delle imprese e, da quel momento, i creditori non possono più promuovere azioni esecutive o cautelari, né acquisire diritti di prelazione. Quanto a contenuto ed effetti, i due procedimenti sono, sotto ogni altro profilo, radicalmente diversi.

LA COMPOSIZIONE DELLA CRISI
L’accordo di composizione della crisi si basa sulla presentazione, da parte della STI, di una proposta, corredata da un piano che preveda termini e modalità di pagamento dei creditori, nel rispetto di alcuni criteri fissati dalla legge in favore di determinate categorie di crediti (crediti impignorabili, crediti privilegiati, crediti fiscali di particolare natura ecc.).

Il procedimento si svolge con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi (le cui funzioni possono essere svolte dagli organismi di conciliazione presso le Camere di Commercio, dagli ordini professionali di avvocati, commercialisti e notai, da enti pubblici dotati di speciali requisiti, o, in alternativa, da un avvocato, commercialista o notaio nominato dal Tribunale su richiesta della STI) e sotto la vigilanza del tribunale. L’accordo può essere omologato solo se viene approvato da tanti creditori che rappresentino il 60% dei crediti; in tal caso, diviene obbligatorio per tutti i creditori, anche dissenzienti, con titolo anteriore all’apertura della procedura.

Con un procedimento la cui durata è fissata in sei mesi, la STI può quindi ottenere il risultato di liberarsi integralmente delle proprie obbligazioni, e di poter eventualmente riprendere l’attività con un fresh start.

Quando l’accordo di composizione non sia proponibile per difetto dei presupposti, oppure dopo l’omologa non venga correttamente eseguito, la STI, e anche i creditori nel secondo caso, possono chiedere l’apertura del procedimento di liquidazione del patrimonio.

In tale ipotesi, la STI deve mettere a disposizione, a servizio del pagamento dei creditori, tutti i suoi beni, inclusi quelli che sopraggiungano nei quattro anni successivi all’apertura della procedura. Il procedimento di liquidazione, infatti, per legge non può durare meno di quattro anni, e comunque non può essere dichiarato concluso finché non siano liquidati tutti i beni.

Anche in questo caso il procedimento si svolge con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi e sotto la vigilanza del tribunale, ma con la presenza necessaria di un ulteriore soggetto, il liquidatore nominato dal Tribunale, che assume la gestione i beni, ne cura la liquidazione e, una volta accertato lo stato passivo, distribuisce il ricavato delle vendite ai creditori. Evidentemente, si tratta di un procedimento di dissoluzione della start-up innovativa, che ne sancisce il definitivo naufragio.

In conclusione, deve ritenersi che il legislatore abbia promosso una responsabilizzazione dell’imprenditore innovativo, stimolandolo a reagire tempestivamente ai primi segnali della crisi, quando sia ancora applicabile la disciplina della STI e il dissesto non sia ancora tanto grave da precludere ogni possibilità di accordo con i creditori, cosicché possa essere perseguito nel migliore dei modi l’obiettivo del fresh start.

RISERVATEZZA PER PROTEGGERE LA REPUTAZIONE
Se, peraltro, agli amministratori si richiede di gestire con prontezza l’emergere della crisi, ai soci viene al contrario concesso il tempo di verificare come la stessa evolva prima di assumere le determinazioni di competenza in merito all’investimento. In deroga a quanto previsto dal codice civile, infatti, nel caso in cui il capitale sociale della STI si venga a ridurre di oltre un terzo a seguito di perdite, i soci hanno a disposizione due anni, anziché uno, per deliberarne la riduzione (se nel frattempo non si sia risanata la situazione) e, addirittura, se in tale ipotesi il capitale sia sceso anche al di sotto del limite di legge, i soci possono attendere la fine dell’esercizio successivo prima di decidere se aumentare il capitale o sciogliere la società.

Oltre a questa agevolazione, i soci della STI beneficiano di una particolare tutela anche sotto il profilo della riservatezza. Il legislatore, infatti, temendo che l’insuccesso dell’iniziativa imprenditoriale possa pregiudicare possibili programmi di investimento futuri, ha stabilito che, decorsi dodici mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’apertura della liquidazione del patrimonio della STI, venga interdetto l’accesso ai dati dei soci (anche se amministratori o comunque investiti di cariche o qualifiche), tranne che all’autorità giudiziaria e a pubbliche autorità.

Al di là del rischio reputazionale, e ovviamente di quello di perdita del capitale investito, i soci della STI non devono temere alcun altro pregiudizio, dal momento che la responsabilità civile resta regolata dalle norme ordinarie del codice civile, per cui nella spa e nella srl i soci non rispondono delle obbligazioni della STI (a meno che non abbiano prestato garanzia) e non è loro imputabile alcuna ipotetica responsabilità per mala gestio (a meno che il socio di srl non abbia intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi).

QUANDO SCATTA IL PENALE
Quanto agli amministratori, invece, applicandosi anche in questo caso la disciplina ordinaria del codice civile, potrà essere agli stessi imputata una responsabilità per mala gestio, nel caso in cui abbiano violato gli obblighi loro imposti dalla legge o dallo statuto della STI, cagionando danno alla società, ai soci o a terzi, inclusi i creditori, con atti dolosi o colposi. Integra il quadro delle possibili responsabilità una specifica disposizione di natura penale. Alla STI, infatti, non si applica la legge fallimentare (e quindi le previsioni in materia, tra l’altro, di bancarotta, semplice o fraudolenta), ma, nel caso in cui faccia ricorso ai procedimenti per il superamento del sovraindebitamento, la STI soggiace alle disposizioni dell’art. 16 L. 3/2012, che prevede ipotesi di reato simili a quelle della bancarotta fraudolenta.

In particolare, viene sanzionato con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e la multa da € 1.000 a € 50.000 chi alteri l’attivo o il passivo per poter accedere al procedimento di composizione della crisi, ovvero produca documentazione contraffatta, od occulti beni in sede di liquidazione del patrimonio, o ancora effettui pagamenti preferenziali o ponga in essere atti intenzionalmente volti a violare l’accordo con i creditori, o, infine, aggravi la situazione debitoria della STI dopo la presentazione della proposta di accordo.

Anche sotto questo profilo, la STI beneficia dunque di una disciplina di favore, dal momento che la responsabilità penale viene ricollegata solo a condotte connotate da elementi di frode ai danni dei creditori.

In conclusione, è pacifico che – sulla scia di quanto sostenuto dalla dottrina statunitense – il legislatore ha ritenuto che una disciplina agevolata della crisi possa costituire un incentivo fondamentale per la costituzione di imprese dal carattere innovativo. Meno pacifica, invece, è l’adeguatezza degli strumenti messi a disposizione, dal momento che i procedimenti di composizione della crisi mediante accordo con i creditori e di liquidazione del patrimonio sono connotati da meccanismi complessi e onerosi, che certamente è auspicabile vengano riformati nel segno di una maggiore semplificazione.

* Daniela Sorgato è avvocato presso CBA Studio Legale e Tributario

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