Scenari economici

Quantitative easing, cambio euro/dollaro, esportazioni: che succede?

Da inizio marzo le Banche Centrali europee acquistano titoli di Stato e immettono liquidità sul mercato. Gli effetti, si dice, dovrebbero essere un ridimensionamento della valuta unica e una ripresa dell’export. Ma non sono scontati. Contano le politiche aziendali e le caratteristiche delle merci esportate

Pubblicato il 29 Apr 2015

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A costo di annoiare chi deve già trovare la pazienza di leggere queste righe, prima di entrare nel merito della questione, occorre ricordare che la BCE funziona sulla base di uno Statuto. Essa può fare ‘tutto ciò che vuole’ in materia monetaria, ma entro i limiti fissati dallo statuto e, in particolare, in funzione dell’obiettivo unico che le è stato assegnato: un tasso di crescita dei prezzi prossimo a, ma inferiore al, 2% annuo. Che piaccia o meno (a me non piace affatto), questo è. Che le azioni della BCE, che si configurino come misure di politica monetaria tradizionale o come ‘politiche non convenzionali’, abbiano poi effetti importanti sull’andamento di variabili diverse dai prezzi è possibile, ma questo è un fatto ‘secondario’.

L’operazione QE
Si sa che il 9 marzo scorso il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) ha dato l’avvio ad una operazione della durata presunta di diciotto mesi con la quale mensilmente il SEBC acquisterà titoli del debito emesso dai governi dei paesi membri dell’UEM. Lo scopo dichiarato di questo è, ovviamente, ricondurre il tasso di inflazione medio nell’UEM vicino al 2%, come da Statuto della BCE.

Effetti collaterali attesi
Un effetto collaterale dell’operazione potrebbe essere il deprezzamento dell’Euro in particolare rispetto al Dollaro e, conseguentemente, dicono alcuni, un aumento della competitività di prezzo delle esportazioni delle merci prodotte in area Euro. In breve, dovremmo vedere deprezzamento dell’Euro e aumento delle esportazioni italiane verso l’area del Dollaro.

La teoria sottostante e il meccanismo di trasmissione
La probabilità che un effetto espansivo del QE sulla domanda aggregata si realizzi si basa su di un meccanismo di trasmissione grossolanamente rappresentabile come segue:

1. L’espansione di base monetaria BCE, che viene dopo la fine dell’espansione monetaria FED (ottobre 2014) farà deprezzare l’Euro, perché ci saranno progressivamente più Euro in circolazione per ogni Dollaro e il prezzo dei Dollari deve quindi aumentare. Nella professione lo chiamiamo ‘il modello monetario di determinazione del tasso di cambio’. Che lo si accetti o meno, questo è il modo in cui si sta ragionando sul mercato dei cambi da molto tempo (vedremo tra poco che chiedersi ‘da quando?’ è un esercizio un poco futile, ma diciamo dall’estate 2014).
2. Un deprezzamento dell’Euro, in un ambiente di prezzi sostanzialmente fissi (zero inflazione) si traduce necessariamente nell’aumento della competitività di prezzo delle merci di produzione UEM: vale a dire che SE gli esportatori europei tengono fermi i prezzi in Euro sulle merci destinati all’esportazione, allora gli importatori dall’area del Dollaro potranno far conto su un prezzo in Dollari inferiore a quello che dovevano pagare prima dell’apprezzamento del Dollaro. SE. Perché se gli esportatori italiani/UEM decidessero di aumentare i prezzi delle esportazioni in Euro della stessa percentuale del deprezzamento, gli importatori dall’area del Dollaro vedrebbero gli stessi prezzi e a nulla sarebbe servito il deprezzamento dell’Euro.
3. Assumiamo che le merci di cui stiamo parlando siano di due tipi: quelle la cui domanda reagisce poco al prezzo (bassa elasticità della domanda al prezzo, diciamo in gergo), e quelle la cui elasticità della domanda rispetto al prezzo è alta.

a. Elasticità della domanda al prezzo bassa. In questo caso gli esportatori possono scegliere tra passare il vantaggio del deprezzamento al consumatore estero o meno. Se non lo fanno, tutto il vantaggio della svalutazione passa nei loro bilanci, ma il livello di produzione destinata all’estero non cambia. Di consegneza, aumenta il valore in Euro delle esportazioni, ma il volume no. All’opposto, le imprese esportatrici se decidono di passare il ‘guadagno da svalutazione’ all’importatore estero, il che avviene riducendo il prezzo in Dollari del bene esportato, allora il beneficio sul bilancio sarà scarso, in quanto la bassa elasticità della domanda non consentirà un aumento della domanda appunto e, quindi, della quota di mercato in quel paese;

b. Elasticità della domanda al prezzo alta. In questo caso si può ancora non passare il vantaggio del deprezzamento dell’Euro all’importatore estero, mettere l’extra profitto in cassa, e mantenere sostanzialmente invariata la produzione destinata all’estero. Alternativamente, se si sceglie di passare almeno una parte del guadagno derivante dal deprezzamento all’importatore estero, l’alta elasticità di prezzo che abbiamo assunto per ipotesi consentirà espansione della domanda estera e forse, perché no, anche un aumento delle quote di mercato dei produttori italiani/UEM nel paese importatore.

Qualche considerazione critica ‘da dentro il coro’
Si deduce da quanto sopra che il meccanismo di trasmissione è complesso assai, e che nel processo giocano un ruolo importante tanto le politiche aziendali che le caratteristiche delle merci esportate, caratteristiche che abbiamo sommariamente riassunto nel concetto di ‘elasticità della domanda al prezzo’. E ciò sempre a condizione che il deprezzamento vi sia effettivamente, e che sia il frutto del QE: perché potrebbe ben darsi che il deprezzamento sia dovuto anche, o forse soprattutto, ad altre cause, e allora l’ipotesi di una ‘ripresa delle esportazioni’ pensata come causata dal QE sarebbe illegittima.

Qualche considerazione critica ‘da fuori dal coro’
Esiste una branca della ricerca economica la quale sostiene che i prodotti non dovrebbero essere più denominati ‘made in’ un determinato paese, poiché i processi produttivi che li generano non sono più localizzati in un solo paese (cfr. Pascal Lamy, presidente del WTO, 2011, o Sam Palmisano 2006, al tempo presidente e CEO di IBM). Al Politecnico facciamo ricerca su queste cose, ed effettivamente il grado di frammentazione internazionale dei processi produttivi sta crescendo in maniera tumultuosa, ed un prodotto assemblato in un paese utilizza semilavorati ed intermedi prodotti in un numero crescente di altri paesi.

Ora, se questo è vero, e lo è, dovremmo osservare un duplice effetto dal deprezzamento dell’Euro, che sia generato dal QE o meno: la competitività di prezzo guadagnata dal lato delle esportazioni dovrebbe essere ‘smorzata’ dall’aumento dei costi dal lato delle importazioni prezzate in Dollari, e questo tanto più quanto più alta è la componente di intermedi e semilavorati (oltre alle materie prime, ovviamente) contenute nel prodotto esportato.

Pensierini conclusivi
Parlare di effetti aggregati di un deprezzamento della valuta nazionale è sempre molto pericoloso. Questi si dispiegano infatti a seguito dell’interazione di diverse variabili sommariamente così riassumibili:
1. Contenuto di materia prima, semilavorati e intermedi fatturati nella valuta che si apprezza. Tanto più alto questo contenuto, tanto più ‘smorzato’ sarà l’effetto del deprezzamento sulla competitività di prezzo delle esportazioni verso l’area del paese la cui valuta si apprezza;
2. Elasticità della domanda rispetto al prezzo nella valuta che si apprezza;
3. Politiche aziendali di espansione dei profitti generati dal non passaggio dei vantaggi del deprezzamento all’importatore estero o il loro contrario, cioè politiche aziendali che mirano all’espansione della presenza all’estero mediante il passaggio dei vantaggi del deprezzamento all’importatore di quel paese.

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