Made in Italy, per andare all’estero bisogna essere più bravi in casa

Il segretario generale di Assocamerestero, Gaetano Esposito, traccia un bilancio della convention mondiale appena conclusa in Brianza. L’export resta una voce positiva del pil. Ma l’internazionalizzazione e il sistema nazionale vanno organizzati meglio

Pubblicato il 14 Nov 2013

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Gaetano Esposito, segretario generale di Assocamerestero

La Convention mondiale delle Camere di commercio italiane all’estero si è chiusa con un messaggio di ragionevole ottimismo. Tutte le previsioni sono convergenti nel segnare che il solo contributo anticiclico per la crescita di quest’anno verrà dalle vendite all’estero. Su questo punto l’Italia se la stiamo battendo con la Germania, per quanto riguarda l’Europa, e le nostre imprese stanno ampliando il loro orizzonte oltre l’Europa. Dobbiamo però sapere che la vera sfida è un processo complessivo di internazionalizzazione, che non vuol dire solo cercare di vendere di più o solo agire in una logica difensiva e di tutela del Made in Italy. Il Presidente della Camera Nazionale della Moda, intervenuto all’incontro in Brianza, ha portato riflessioni molto importanti sulle recenti acquisizioni fatte da aziende francesi di brand storici del Made in Italy che hanno rafforzato la nostra competitività, non solo salvaguardando il nostro saper fare, ma anche dando gambe molto più robuste ai nostri brand per andare all’estero: perché oggi la sfida del Made in Italy si vince, nei beni di consumo – ma anche in quelli di investimento – presidiando i mercati internazionali con politiche di marchio e della distribuzione, soprattutto sui mercati più lontani non solo geograficamente, ma anche culturalmente.

Ma le imprese che non dispongono di grandi capitali per queste operazioni avranno delle difficoltà, non potranno utilizzare questa leva?

Bisogna essere realisti al riguardo. Monza, e più in generale la Brianza, è un caso di scuola: il 19% delle imprese brianzole opera sui mercati esteri, contro il 12% della media italiana. A livello nazionale, stimiamo circa altre 70 mila imprese che hanno potenzialità di presenza all’estero. Ma tutto ciò va organizzato. La dimensione aziendale non preclude una presenza internazionale se viene inserita in un discorso di collegamenti produttivi con altri, se assume una valorizzazione di filiera, tenendo insieme subfornitori di specialità, imprese e mercato finale. Una parte importante del lavoro deve essere fatta in Italia, prima di andare all’estero, organizzando le imprese minori, e poi si deve andare all’estero, assicurando una assistenza continuativa a chi ha deciso di lavorare sui mercati più ampi.

E qui veniamo al solito refrain: negli altri Paesi c’è una presenza più organizzata, il sistema diplomatico e le agenzie di promozione agiscono in stretta relazione; da noi ci si lamenta spesso che tutti fanno tutto. Si è detto qualcosa di nuovo alla Convention su questo?

Beh noi abbiamo esposto la nostra idea, che ha trovato una buona accoglienza da parte degli esponenti di Governo presenti. Le CCIE sono soggetti privati che si muovono in una logica istituzionale. Fanno parte del mercato, perché lavorano offrendo una certa tipologia di servizi. Le CCIE si sono specializzate soprattutto nelle azioni di collegamento imprenditoriale (per fare un esempio tipico gli incontri BtoB), di radicamento, attraverso la gestione dei seguiti delle missioni imprenditoriali e di ampliamento dell’offerta di servizi a valere sulle iniziative fieristiche. Anche sul tema EXPO, abbiamo colto di avere aperture. Siamo una rete di 80 punti, presente in 54 Paesi, che agisce soprattutto per rafforzare le iniziative tra imprese. Il Ministro Zanonato nel suo intervento ha colto questo aspetto e ci ha incoraggiato su questa strada. Il Vice Ministro Calenda ha evidenziato la necessità di lavorare non per schemi monolitici validi per tutti le realtà paese, ma secondo un percorso di geometria variabile che è il più adeguato all’attuale contesto del commercio mondiale. I negoziati multilaterali sono in una fase di stallo permanente, si sta realizzando molto di più con accordi bilaterali o tra gruppi di aree e Paesi. In questa situazione la flessibilità ed i servizi delle CCIE ne escono valorizzati. Per quanto riguarda invece le grandi iniziative di immagine paese, l’azione di diplomazia economico-commerciale, l’acquisizione di grandi commesse governative qui c’è un terreno fertile per l’impegno pubblico e ci sembra che il Governo si stia muovendo nella giusta direzione.

Una battuta su un tema caldo in queste settimane, evocato anche alla vostra Convention: Destinazione Italia.

Sì ne abbiamo parlato più volte. Destinazione Italia parte dal presupposto che per investire in Italia bisogna in primo luogo rendere attrattivo da un punto di vista amministrativo-burocratico il nostro Paese. Larga parte delle misure previste in questo progetto fanno riferimento ad azioni che tendono a rendere più rapida l’ottenimento di visti, licenze, giudizi civili, agevolazioni fiscali per investimenti, etc.. Poi c’è la promozione all’estero per veicolare iniziative di investimento in Italia. Sia il Vice Ministro Marta Dassù che il Vice Ministro Calenda hanno visto uno spazio importante per le CCIE su questo versante, perché rappresentano un punto di aggregazione delle business communities locali. Resta però il fatto che, se secondo il Rapporto Doing Business 2014 della Banca Mondiale siamo al 65esimo posto su 189 economie prese in esame per facilità nel fare impresa, non ci potrà essere azione di sensibilizzazione e di promozione all’estero capace di incrementare il flusso di investimenti nel nostro Paese.

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