Parola d’ordine e-boutique: il caso di Luisa Via Roma

La scommessa del negozio fiorentino di affiancare alla rivendita fisica una piattaforma per vendere online abiti e accessori di lusso è andata a buon fine: la società, guidata da Andrea Panconesi, fattura oltre 90 milioni all’anno e occupa 120 persone. «All’inizio ci davano dei folli: nessuno credeva che si potesse vendere un abito da duemila euro sul web»

Pubblicato il 15 Ott 2014

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«Ricordo il caso di una principessa araba con un ordine da oltre 20 mila euro che veniva bloccato ogni volta dalla banca»: nessuna avventura è degna di definirsi tale se non incontra qualche ostacolo. Almeno, all’inizio. Ma quello descritto da Nicola Antonelli è uno degli episodi della storia a lieto fine di Luisa Via Roma, la boutique fiorentina di cui oggi è responsabile marketing e che alla fine degli anni Novanta, per volere del proprietario Andrea Panconesi, aprì il primo sito di acquisti online di lusso.

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Nonostante le difficoltà iniziali – tra cui convincere gli istituti di credito che le ingenti somme versate online non nascondevano loschi affari ma erano normali transazioni e-commerce – la boutique virtuale ha conosciuto una inarrestabile crescita economica grazie al web. L’azienda parla di un balzo da 10 milioni a 90 milioni di euro in pochi anni a partire dal 2010/2011: e tutto per merito delle vendite online.

L’esempio di Luisa Via Roma è solo una favola metropolitana o è un paradigma di business da cui trarre ispirazione? Magari per conquistare fette di mercato a colpi di clic senza dover lasciare l’Italia? Secondo i dati del report The Digital Frontier pubblicato a fine settembre da ContactLab, società specializzata in ricerche di marketing, oggi il settore della moda di lusso è trainato sempre più da Internet. Le grandi firme realizzano il 10% delle vendite grazie ai loro siti di e-commerce, percentuale destinata a crescere fino al 40% entro il 2020. Nei prossimi cinque anni, quindi, se il settore del lusso crescerà del 5-6% ogni 12 mesi, il suo contraltare virtuale aumenterà del 20-30 per cento.

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Internet, quindi, può far crescere aziende e brand anche in un mercato competitivo e saturo come quello della moda. Eppure alla fine degli anni Novanta convincere un cliente ad acquistare online anziché in negozio poteva rappresentare un ostacolo durissimo.

Vendere con sistema paypal e ricevere ordinazioni sul sito del proprio negozio oggi è la norma per molti esercizi commerciali. Ma in una Italia in cui la connessione Internet era considerata non essenziale e l’utilizzo online delle carte di credito un modo sicuro per essere truffati, il passo della piccola ma esclusiva boutique fiorentina deve essere sembrato un azzardo. «In merito ai giudizi, abbiamo sentito di tutto – continua Antonelli – Mi ricordo i primi mesi (quando già arrivavano ordini) che il resto dei competitor e fornitori ci davano dei folli, perché secondo loro non si sarebbe mai venduto un abito da 2 mila euro online».

Previsione sbagliata: i capi e gli accessori di pregio iniziarono a viaggiare online per la gioia di principesse arabe e clientela internazionale. Oggi il gruppo fattura oltre 90 milioni di euro l’anno e ha una squadra di 120 persone di cui circa la metà – tra designer, web designer, editor e gestori informatici degni di una piccola Microsoft – si occupa solo del negozio digitale. Lo stesso che permette di vendere in Cina, Russia, Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna Hong Kong e Sud Corea (i Paesi in cui l’azienda realizza il grosso del suo fatturato).

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Imporsi all’estero grazie al web sarà stato più semplice 15 anni fa, quando ancora in pochi si azzardavano a far girare il proprio business attorno alle vendite online. Ma oggi, in un mondo digitale maturo in cui tutti – carta di credito permettendo – possono acquistare beni e servizi con un clic, la domanda è: il lusso può ancora dirsi tale se tutti possono accedervi facilmente in rete? Non c’è il rischio che Internet livelli quel carattere di esclusitivà che è la garanzia e il successo di brand luxury? «A nostro avviso un prodotto di lusso è un prodotto di lusso a prescindere dal canale attraverso il quale viene commercializzato», risponde Antonelli, secondo cui «pur non avendo il prodotto in mano, il digitale consente di esaminare i dettagli esclusivi con molta più precisione e accuratezza rispetto al tipico processo di acquisto in negozio».

Per molte firme e aziende retail di lusso, parte del successo di un sito di e-commerce passa attraverso le risorse social. Luisa Via Roma ha oltre 1 milione e mezzo di fan su Facebook e circa 100 mila follower su Twitter. Ma questi strumenti, proprio per l’alta condivisione e partecipazione dei consumatori, a volte possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Basta un commento negativo o un troll insistente a compromettere gli affari di un marchio.

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Eppure per Antonelli i social non sono la minaccia virtuale più pericolosa. «Per quanto riguarda le risorse “pericolose” per la nostra attività, sono generalmente quelle che tendono a “svalutare” il prodotto e l’immagine dell’azienda – spiega –. Un esempio su tutti? I comparatori di prezzo o i marketplace come Ebay o Amazon, che pur facendo numeri incredibili sono rivolti a target decisamente diversi rispetto al nostro e quindi tenderebbero a svalutare la nostra immagine».

Oggi il gruppo ha concorrenti agguerriti in tutto il mondo: ma, come ogni buona strategia di business insegna, il nemico è anche fonte di ispirazione. Nel caso di Luisa via Roma, il competitor di riferimento è Net A Porter di Londra. «Sono un e-commerce di moda di lusso, un po’ più grandi di noi e sono molto interessanti in merito a come riescono a coniugare i contenuti editoriali con quelli commerciali – spiega Antonelli – Poi abbiamo i grandi colossi americani come Neiman Marcus, Saks, Nordstrom, etc… che però fanno leva più sui numeri che sull’originalità della proposta».

Non c’è marca o competitor che oggi possa fare a meno dell’e-commerce. Eppure viene da chiedersi, visto il revival del vintage dei vinili e della nostalgia per i tempi che furono, ha ancora senso puntare tutto sull’acquisto online? O non assisteremo al ritorno dello shopping vecchia maniera, magari con personal buyers assoldati dai vari vip e inviati fisicamente in negozio? «A nostro avviso l’esperienza d’acquisto del futuro sarà digitale al 90 per cento – risponde Antonelli – i negozi si trasformeranno in boutique digitali dove l’utente sarà invitato a scegliere il proprio prodotto o total look tramite un touch screen, lo pagherà e se lo farà inviare a casa… e contestualmente potrà vivere, nel negozio fisico, delle esperienze legate al brand completamente diverse da quello che succede oggi. Il tutto sarà poi caratterizzato dagli acquisti in mobilità grazie tutti i device di nuova generazione che consentiranno di fare shopping in qualsiasi luogo e/o momento della giornata. Gli store fisici quindi si dovranno evolvere nei prossimi anni, cercando di offrire servizi sempre più innovativi ed esclusivi, altrimenti sarà molto difficile rimanere sul mercato». Ipse dixit.

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