Infocert: «Grazie (anche) alle startup diamo soluzioni che 2 anni fa non esistevano»

La società che si occupa di dematerializzazione dei processi documentali collabora con diverse neo imprese, università e centri di ricerca nazionali. «Non abbiamo bisogno di fare call, entriamo in contatto con le giovani società attraverso incubatori e imprenditori» dice il Chief Innovation Officer Carmine Auletta

Pubblicato il 29 Mar 2016

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Carmine Auletta

“La nostra crescita è trainata dall’innovazione. Basti pensare che il 16% dei ricavi dell’ultimo anno fa riferimento a prodotti e soluzioni che solo ventiquattro mesi fa non esistevano”. Così dice a EconomyUp Carmine Auletta, Chief Innovation Officer di InfoCert, società impegnata a progettare e sviluppare soluzioni informatiche ad alto valore tecnologico di dematerializzazione dei processi documentali, attraverso componenti di gestione, conservazione e firma digitale, e Pec. Con un capitale sociale di 17.704.890 euro e un fatturato 2014 di 41.700.000 euro InfoCert rappresenta una delle maggiori “certification authority” in Italia per quanto concerne certificazione digitale e gestione documentale in modalità elettronica. Ha sedi a Roma, Milano e Padova, ed è azionista al 35% di Sixtema, il partner tecnologico per il comparto artigianale e le pmi del mondo Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato). Ma il suo impegno si esplicita anche nella collaborazione con alcuni tra i maggiori poli universitari e centri di ricerca nazionali: Politecnico di Milano, Exo Organismo di ricerca, le università di Tor Vergata, a Roma, e di Salerno, Sda Bocconi. Collaborazione e rinnovamento viaggiano di pari passo, dunque.

Quali e quante risorse dedicate all’innovazione? C’è una divisione che se ne occupa?
L’innovazione è parte del Dna dell’azienda. L’aspetto più strutturato è perseguito dalla nostra area di consulting, costituita da una serie di specialisti in ambito normativo che studiano i processi dei clienti per abilitarne la “digital transformation”. Ma l’innovazione per InfoCert nasce anche per soddisfare le richieste dei clienti più esigenti, come nel caso di “Security transaction platform”, una soluzione pensata per le app su mobile, che consente di distribuire su più soggetti, tra loro indipendenti, l’autorizzazione di una transazione.

Qual è la filosofia che ispira il vostro modello di open innovation?
Il nostro paradigma di “innovazione aperta” è molto ampio, estendendosi dal mondo accademico e della ricerca universitaria all’ecosistema delle startup. In quest’ultimo caso, tendiamo a sviluppare progetti di innovazione insieme a nuove realtà nazionali ed estere. Attualmente stiamo lavorando con una startup italiana su tematiche legate alla dematerializzazione del ciclo attivo per i professionisti e le micro-imprese, e con una startup londinese in ambito FinTech su un progetto inerente l’impiego della tecnologia “blockchain” nella gestione delle identità digitali.

E sul fronte della ricerca universitaria?
InfoCert partecipa al capitale di Etuitus, una startup universitaria attiva nei servizi evoluti di digital trust, insieme ad altri azionisti docenti e ricercatori esperti in criptografia. Restando nell’ambito, l’azienda finanzia attività di ricerca e convegni come ad esempio il prossimo “International workshop on biometrics”, in programma nel nostro paese il prossimo giugno.

In che modo vi relazionate con le startup? Avete in agenda call o attività similari?
In realtà finora non abbiamo avuto bisogno di fare call o iniziative simili per entrare in contatto con il mondo delle startup. Disponiamo, infatti, di una discreta rete di relazioni sia con incubatori sia direttamente con imprenditori, e questo ci consente di entrare facilmente in contatto con le iniziative di nostro interesse.

Rimanendo in tema, il rapporto con le startup prevede anche acquisizioni oppure investimenti in capitale?
Collaboriamo con diverse startup e quando troviamo un buon fit strategico valutiamo l’opzione acquisizione. Così è stato, ad esempio, nel caso di Eco-Mind, una società specializzata nella realizzazione di soluzioni digital transaction management ad elevata usabilità, acquisita da InfoCert alla fine delle scorso anno.

Dunque in che modo InfoCert si sta espandendo, anche a livello di partnership?
Attualmente siamo poco più di 200 persone e il fatturato dell’azienda, al pari del numero di dipendenti, è aumentato negli ultimi anni con un tasso a doppia cifra. Fino ad oggi InfoCert è cresciuta prevalentemente in Italia, mentre l’ultimo piano industriale prevede un’importante strategia di sviluppo a livello internazionale. Da questo punto di vista ci stiamo muovendo in ambito europeo attraverso la costituzione di alleanze/partnership e l’identificazione di potenziali target di acquisizione.

Ricordiamo che uno dei provider accreditati da Agid per il progetto Spid (Sistema pubblico di identità digitale), insieme a Poste e Telecom, è proprio InfoCert…
Abbiamo lavorato a fianco dell’Agenzia per l’Italia Digitale alla definizione delle regole tecniche per la messa a punto del sistema Spid. Come mai siamo stati scelti? Per la nostra competenza tecnica, per la solidità finanziaria e per l’efficacia con cui abbiamo ricoperto negli anni il ruolo di “certification authority”.

Nell’ambito di questa iniziativa qual è il vostro ruolo? Quali le fonti di ricavo?
InfoCert, all’interno di Spid, ha il compito di “identity provider”, ovvero il soggetto a cui è affidato il compito di rilasciare l’identità digitale ai cittadini e alle imprese che ne faranno richiesta, nonché di gestire l’autenticazione degli utenti per l’accesso ai servizi digitali online. In merito alla seconda domanda, gli identity provider hanno fondamentalmente due fonti di ricavo: la prima legata alle identità rilasciate e la seconda associata all’attività di identificazione erogata in favore di service provider privati. Al momento non è possibile fare previsioni sull’ammontare dei ricavi, ma chi ci guadagnerà da Spid è sicuramente l’intero sistema paese.

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