La storia

Il mio lavoro? È cambiare l’Italia

Neoamministratore delegato di ItaliaCamp srl, Fabrizio Sammarco, 33 anni, è riuscito a mettere insieme aziende e istituzioni in un progetto di innovazione sociale. Un’idea nata cinque anni fa con tre colleghi di università. E ora pronta a decollare. «Siamo pronti a gestire i progetti con un’ottica di business».

Pubblicato il 06 Ago 2014

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La voce ricorda quella squillante di Al Bano. Arriva dal Salento ma al telefono c’è Fabrizio Sammarco, 33 anni, neo amministratore delegato di ItaliaCamp srl, la società nella quale la scorsa settimana hanno fatto ingresso Poste e Invitalia, Ferrovie dello Stato e Rcs. Un caso più unico che raro di joint venture per l’innovazione. All’origine, e al centro, c’è questo trentenne riccioluto che usa il linguaggio dei visionari ma ha dimostrato di essere anche molto concreto.

Il piano di ItaliaCamp per il governo

Sammarco è nel suo Salento in vacanza, e per organizzare il matrimonio con la fidanzata romana che lavora a Milano. Lo festeggerà in autunno dalle parti di Lecce, proprio mentre muoverà i primi passi la nuova e complessa versione di una macchina che è riuscito ad avviare quando non aveva ancora 28 anni. Dopo l’Associazione, la Fondazione. E ora la Srl, di cui il 49% è stato distribuito a quei soci eccellenti. Perché Sammarco da sempre si muove bene fra istituzioni e aziende. L’Associazione nel 2010 viene tenuta a battesimo a Palazzo Chigi da Letta (Gianni) con un angelo custode come Pierluigi Celli, allora direttore generale della Luiss. Era (e resta) lo strumento per tenere i rapporti con le persone, i territori, le Università (circa 70) e nasce da un’idea di tre amici: Fabrizio, Luigi Mazza, Leo Cisotta. Hanno fondato il giornale universitario “A360gradi” e dopo la laurea alla Luiss vanno insieme a fare un giro negli States, come molti coetanei. Tornano in Italia con la novità dei bar camp, le “non-conferenze” in cui i temi sono proposti dai partecipanti e tutti si ritrovano attorno a un tavolo allo stesso livello. Diciamo “convegni condivisi”.

Ciascuno prende la propria strada, Fabrizio entra in Poste per occuparsi di risorse umane, visto che ha fatto una tesi sui sistemi innovativi di welfare aziendale e un dottorato di ricerca alla Fondazione Biagi. Ma non hanno dimenticato la suggestione americana e hanno in testa di fare qualcosa per «promuovere e sostenere l’innovazione sociale e ridurre la distanza tra chi ha una buona idea e chi ha il “potere” economico e politico per poterla realizzare», come recita il loro sito. «Non avevamo un piano strategico», ricorda ora Sammarco. «Abbiamo cominciato come integrazione dei nostri primi lavori. Poi il progetto è cresciuto e c’è chi è ha deciso di lasciare contratti a tempo determinato per dedicarsi a tempo pieno». Lui, adesso che Poste è uno dei soci di ItaliaCamp, ha ottenuto un distacco, come sarà per almeno altri sette del team di 15 persone che lavoreranno per la nuova società. «È uno dei primi casi di people equity», sottolinea. «Le aziende non partecipano solo con risorse finanziarie ma anche con risorse umane, competenze. Per il resto abbiamo già cominciato una selezione, non solo a livello nazionale».

Ma cosa farà di nuovo ItaliaCamp srl? «Ci siamo resi conto che con l’Associazione si riusciva a far emergere i progetti di innovazione. Con la Fondazione a finanziarli. A quel punto l’anello debole era l’esecuzione. Adesso possiamo anche gestire e realizzare i progetti, con un’ottica di business. Abbiamo fatto un passo in più per andare oltre l’aggregazione di talenti, competenze ed energie». Il sistema appare ben congegnato: il 51% della srl è in mano all’Associazione, l’1% alla Fondazione, il 48% distribuito fra Poste, Invitalia, Ferrovie e Invitalia e regolato da un patto parasociale. Il manifesto culturale di ItaliaCamp c’è già: è stato lanciato a Reggio Emilia a fine giugno e si chiama Advocacy (stimolare la partecipazione diretta alle politiche pubbliche), lo strumento è l’Economia delle Soluzioni. «Ci sono Grandi Problemi e noi abbiamo individuato 8 aree strategiche per l’Italia. Se vengono affrontati correttamente e in modo innovativo, le soluzioni possono rappresentare un volano di ripresa per il Paese», spiega Sammarco, che tiene a sottolineare: «Non vogliamo sostituirci a governo o imprese, ma vogliamo individuare aree nuove di investimento che possano generare nuovo valore per tutti».

Funzionerà? Lo vedremo nei prossimi tre anni, l’arco di tempo del piano industriale affidato a Boston Consulting Group, che sarà approvato entro settembre. Entro la fine dell’anno sarà pronta la nuova corporate identity affidata a Saatchi. Da gennaio 2015 abito nuovo e nuova mission. Non solo in nome degli azionisti: «Siamo riconoscenti alle aziende che hanno accettato di partecipare a questo esperimento. Ma proprio nel piano industriale è evidenziato che il flusso progettuale ed economico non sarà legato solo a loro». Sempre nel piano industriale sarà sottolineata la “vocazione” internazionale. «Abbiamo già fatto una prima missione a Wall Street. E nel futuro prossimo lavoreremo per attrarre risorse, umane e finanziarie, con l’obiettivo di giocare un ruolo per il Paese nel Paese all’estero», anticipa Sammarco che guarda al mondo senza dimenticare le sue radici. La terra, ma anche la famiglia. Sembra retorica, ma i genitori dei fondatori under 35 dell’Associazione sono stati i primi fan e hanno creato quasi un gruppo parallelo. E nelle parole di Sammarco risuonano le lezioni della madre insegnante e la passione del padre sindacalista Cgil. “È stato sempre appassionato di politica locale”. Nel 2014 la politica si fa anche organizzando l’innovazione sociale.

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