#VeryBello, Santoni (Cisco): un brutto esempio del ritardo politico

Crescere Digitaliani è il titolo del Forum promosso dalla compagnia americana. «Sono stati fatti enormi passi avanti», dice il numero uno in Italia. «Ma manca ancora una governance». E la coscienza che il digitale è un tema sul quale ci si può giocare il consenso

Pubblicato il 26 Gen 2015

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Agostino Santoni, amministratore delegato di Cisco Italia

«E’ un esempio negativo, certamente. Ma non succede così in tutti i ministeri». Agostino Santoni non evita l’argomento #Verybello ma dal momento che non è solo l’amministratore delegato di Cisco Italia ma anche il presidente di Assinform, l’associazione di Confidustria che riunisce le aziende italiane dell’IT, dell’incidente del portale voluto (e difeso) dal ministro intellettuale Dario Franceschini e sbeffeggiato in Rete preferisce dare una “lettura politica”. Per lui sono giorni caldi per altre ragioni: da lunedì sono cominciati i Cisco Days, meeting internazionale che per il secondo anno riunisce a Milano migliaia di persone a Mico Fiera Congressi. E mercoledì 28 è il giorno dell’Internet of Everythings Forum dal titolo inequivocabile “Crescere Digitaliani”. E #Verybello sta a li a ricordarci che da fare ce n’è ancora molto.

Santoni lavora nell’Information Technology da oltre 20 anni, da 2 guida Cisco ed è cautamente positivo. È convinto che il digitale stia diventando sempre di più un “valore” politico, che non può essere guastato da episodi come quello di cui si straparla da qualche giorno. «Non è una bella storia ma in altri ministeri le cose vanno diversamente», dice, facendo nomi e cognomi. «All’Agricoltura con Martina, alla Pubblica Amministrazione con la Madia, alla Salute con la Lorenzin così come alla Pubblica Istruzione con la Giannini e la sua Buona Scuola ci sono attenzione e sensibilità alla trasformazione in atto e non manca lo sforzo di interpretarla».

Che cos’è che manca ancora per una piena coscienza digitale?
Nel 2014 sono accadute cose importanti che hanno segnato una cesura con il passato. Per la prima volta nell’entourage di governo non mancano le persone competenti sulle tecnologie digitali. Adesso bisogna dare loro l’empowerment per sviluppare il processo di digitalizzazione, dal turismo alla salute.

Gli incidenti alla #verybello, quindi, accadono perché non ci sono responsabilità definite?
Anche. Sicuramente c’è un problema di governance e va affrontato per la necessaria revisione dei processi interni alla pubblica amministrazione. Nel 2014 sono stati presentati due piani importanti, quello sull’Ultrabroadband e l’altro sulla Crescita Digitale. La tecnologia intanto è diventata sempre più semplice. Ci sono tutte le condizioni per passare alla fase di attuazione. I politici usano sempre di più la parola digitale, ma devono capire che non basta e che stanno rischiando grosso.

Cioè? Che cosa rischiano adeguandosi al senso comune sul digitale?
Ho il sospetto che il tema digitalizzazione del Paese stia acquisendo un forte valore politico. Penso che stia diventando un fattore in grado di garantire voti, di creare consenso. Pensi a un sindaco che oggi garantisce il wifi o un accesso ai servizi digitali efficace. Cresce la sensibilità per questi temi, l’esperienza di consumo si sta trasferendo dal mercato dei beni e dei servizi, dall’acquisto di una borsa online o di un biglietto aereo, a quello della pubblica amministrazione. E crea nuove aspettative da parte dei cittadini. Deluderle può essere pericoloso.

Quindi la digitalizzazione del Paese potrebbe caratterizzare una campagna elettorale?
Assolutamente sì. I politici più accorti si sono adeguati alla comunicazione digitale, frequentano i social e li usano. Ma non sono ancora passati ai contenuti della trasformazione digitale.

Forse anche le imprese hanno qualche ritardo…
C’è una responsabilità di governo, ma questo non esclude quella di tutta la classe dirigente. Imprenditori e manager compresi. In passato si è preferito urlare e non è accaduto nulla, adesso credo che il nostro ruolo sia di contributori al cambiamento, per quelle che sono le nostre competenze e possibilità. L’Internet of Everything è uno straordinario abilitatore che va capito e adottato perché è in grado di creare nuove opportunità per tutti, non solo per i giovani.

La nuova rete degli oggetti è in grado di creare anche lavoro?
Sì. All’evento di Milano mostreremo tre immagini: quella di una ragazza di 19 anni, certificata Internet of Things, che ha trovato lavoro subito dopo la scuola, quella di un geometra di 41 anni che si è “riconvertito” in esperto di Reti, e quella di un formatore che sta portando queste competenze in carcere, a Bollate, dove alcuni detenuti hanno già trovato lavoro. Cisco da anni ha una sua Academy i cui risultati non lasciano dubbi: nel 2014 ha formato e certificato 20mila studenti, il 63% ha trovato lavoro nel giro di sei mesi, in Italia non all’estero.

La formazione, quindi, è importante, tanto quanto l’infrastruttura?
Assolutamente, è fondamentale. Perché è così che si creano quelle competenze necessarie per affrontare la trasformazione positivamente.

Ed evitare, magari, altri episodi stile #Verybello, aggiungiamo noi.

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