Innovazione

Tre ragioni per cui il matrimonio Google-Luxottica può funzionare

I Glass sono brutti, le montature classiche antiche, le aziende complementari. I due partner sembrano giusti e il progetto si svilupperà se gli americani resteranno concentrati sul prodotto e gli italiani saranno umili e determinati nella sperimentazione

Pubblicato il 28 Mar 2014

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Ferdinando Pennarola, docente di docente del dipartimento di Management e Tecnologia della Bocconi

Sarà perché sono due aziende quotate, sarà perché i Google Glass avevano già una copertura mediatica rilevante, ma la notizia che Luxottica e Google hanno firmato un accordo per la produzione dei Glass, ha inondato il web e ha ottenuto migliaia di referenze sui motori di ricerca, a soli pochi giorni dall’annuncio del 24 marzo.

La notizia si presta ad alcune considerazioni.

Primo aspetto. Finalmente Google ha trovato un partner giusto. Suvvia, non raccontiamo bugie, ma i Glass nella loro versione attuale sono veramente brutti! L’alleanza con il grande maker di montature per occhiali, e, soprattutto, con chi ha in casa i tutti i grandi brand e gli stilisti del mestiere, promette molto bene. E’ un accordo che apre nuove prospettive d’innovazione di prodotto, e che va nella scia del design che incontra la tecnologia, un trend che conosciamo bene e che si è affermato da tempo.

Secondo aspetto. Che sia giunto, forse, il momento del rinnovamento delle montature per occhiali nella direzione di un matrimonio con le tecnologie? In effetti, la versione odierna del prodotto risale a cent’anni fa e, nel tempo, si è evoluta con l’adozione di nuovi materiali e mille combinazioni di stili e forme. Questa nuova traiettoria sarebbe, invece, quella giusta: mettersi un chip addosso è, al momento, una moda, destinata ad invadere l’abbigliamento e gli accessori. Non è da escludere che prossimamente, nelle fiere specializzate come Pitti Uomo, vedremo padiglioni dedicati a questa nuova tendenza.

Terzo aspetto. L’accordo è siglato tra due partner che presentano molte complementarietà. La catena del valore dell’accessorio nell’abbigliamento ha un disperato bisogno di innovazione, non solo di prodotto, ma anche dei processi commerciali e distributivi. Ci sono solo pochi, timidi tentativi, che al momento non hanno riscosso un grande successo, nel campo della simulazione via computer per indossare un capo di abbigliamento o un suo componente. Le potenzialità sono infinite: qualsiasi nostra immagine reale, catturata da una webcam, si presta ad essere manipolata con la prova di un prodotto selezionato da un catalogo. Non solo gli occhiali, ma – perché no – anche i gioielli, un taglio di capelli, una cravatta, un cappello, un qualsiasi indumento. Il problema è che produrre software di qualità per realizzare applicazioni di questo tipo è molto difficile: in mancanza di una grande facilità d’uso, questi servizi non sono convincenti e non sfonderanno sul mercato. Per realizzare questi progetti, devono scendere in campo aziende visionarie con capacità d’investimento, e Google e Luxottica sono due giganti nei rispettivi settori con le potenzialità giuste per innovare.

E’ vero che nel mondo occidentale la percentuale di divorzi tra le coppie sposate ha raggiunto il 40%. Analogamente, le alleanze paritetiche, nel campo degli affari, prestano il fianco a innumerevoli trappole e inattesi fallimenti. Tuttavia, Luxottica e Google sembrano due partner giusti per questo progetto, sempre che vengano salvaguardate le seguenti condizioni. In primo luogo, l’azienda italiana deve esplorare un nuovo terreno, quello delle tecnologie informatiche applicate al prodotto, e per farlo è indispensabile una grande umiltà e molta determinazione. C’è sempre qualcuno in agguato che griderà allo scandalo e non approverà lo sforzo d’innovazione. In secondo luogo, i Glass devono rimanere, per Mountain View, al centro di una strategia di rinnovamento delle interfacce di input, e non diluirsi nell’innumerevole catalogo di servizi e applicazioni a cui gli americani ci hanno abituato negli ultimi anni. E’ da quando si sono affermati gli smartphone touch, i tablet e i sistemi di riconoscimento vocale, che si è capito che è in atto un movimento più ampio, in grado un giorno di mandare in pensione la vecchia tastiera. D’altronde, una delle cose più innaturali da fare per l’uomo è dare ordini ad un sistema pigiando tasti in sequenza. Il futuro ci dovrà riservare senz’altro qualcosa di meglio.

* Ferdinando Pennarola è docente di docente del dipartimento di Management e Tecnologia della Bocconi

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