Scenari Economici

L’innovazione fermerà (forse) la crisi, intanto la produttività non cresce…

Joel Mokyr, della Northwestern University, terrà una lezione a Milano su “Il futuro dell’innovazione” proponendola come ricetta contro la stagnazione: vero, ma solo sul lungo periodo

Pubblicato il 26 Nov 2015

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Joel Mokyr

Il professor Joel Mokyr, della Northwestern University, è stato invitato da Politecnico di Milano e Fondazione Telecom Italia a tenere una lezione su “Il futuro dell’innovazione: sono finiti i bei tempi andati?” La lezione è in programma il 30 novembre dalle 10:30 in Politecnico, in aula F.lli Castiglioni, Via Candiani 72, Milano [dettagli del programma e link per l’iscrizione qui ]



Innovazione. Parola ormai sulla bocca di tutti. Giustamente, perché senza di essa il mondo non va avanti, nel senso che senza di essa non avremmo prodotti migliori e prodotti nuovi, tangibili o intangibili; non avremmo la possibilità di produrre merci e servizi a costi decrescenti, cioè con produttività crescente; non avremmo visto uno spostamento epocale di forza lavoro dalle mansione operaie e impiegatizie che tradizionalmente abbiniamo al funzionamento del capitalismo verso professioni crescentemente più ricche in capitale umano, e quindi (presumibilmente) di maggior soddisfazione per chi lavora. Insomma, è un fatto molto positivo che il professor Mokyr venga a parlarci di una cosa tanto importante.



Sarà bene dire subito che la tesi generale di Mokyr è difficilmente contestabile, e che anzi è essa condivisa da tutti gli economisti: nel lungo periodo è solo l’aumento della produttività, abbinato a gradi e tipi diversi di innovazione, che produrrà crescita. L’errore più grande che si possa fare nel cercare di determinare se vi sarà crescita o meno, dice Mokyr, sta nel dimenticare il ruolo propulsivo della tecnologia. E io sono con lui. Chi non ricorda le risate a crepapelle suscitate dal Club di Roma e dell’MIT all’inizio degli anni Settanta, quando prevedettero l’esaurimento del petrolio entro l’anno 2000? Non capivano il ruolo del progresso tecnico. E quindi non potevano immaginare che un giorno avremmo potuto sfruttare le prospezioni satellitari, le sabbie bituminose del Canada, o lo shale gas, o… Punto. Ma, ci si chiederà, se il punto non è controverso, qual è la materia del contendere? Eccola. È quella nel titolo del talk di Mokyr.



Con l’inizio della crisi da mancanza di credito nel 2007, e la successiva difficoltà dell’economia mondiale a tornare a livelli di crescita del Pil pre-2007, si è diffuso nella professione un quesito grave: forse che una crisi così lunga, una difficoltà così marcata a ‘ripartire’, siano il segno dell’inizio di una fase di stagnazione secolare? [Espressione questa non nuova nella letteratura economica, la quale la registra già negli anni ’30 del secolo scorso, e con la quale si intende indicare una fase protratta di tassi di crescita stabilmente bassi o bassissimi.] Quesito non da poco, per tutti noi che siamo nati e vissuti in un ambiente economico sistematicamente in crescita, in economie miste di Stato e mercato, un modello il quale tra il 1947 e il 2007 ha sperimentato sì delle recessioni e delle stagnazioni, ma sempre di durata e di gravità non comparabili a ciò che sta succedendo dal 2008.



Il professor Mokyr ci dice che le crisi ci sono sempre state, e che anche da questa si uscirà come si è usciti dalle altre, con un meccanismo in cui l’innovazione, le invenzioni e il progresso tecnico giocheranno un ruolo fondamentale. Ora, e come dicevo già all’inizio di questo pezzo, personalmente ritengo che la proposizione sia vera, ma che lo sia a patto che sia riferita al ‘lungo periodo’, cioè a quel lasso di tempo che gli economisti identificano come quello stato di natura in cui i prezzi sono flessibili e vi è piena occupazione di lavoro e capitale. Ecco dunque che tanto più sostenuto, diffuso, rapido e rivoluzionario il processo di innovazione, tanto prima si uscirà da questa stagnazione che molti (tra cui io) definiscono ‘secolare’.



Che cosa dicono i critici di questa ‘via’ di uscita dalla stagnazione globale? Essi sostengono, e qui sta il nodo della discussione, che ciò che caratterizza questa lunga crisi è, nonostante il gran parlare di innovazione, sharing economy, digital revolution, disruptive innovation and i-whatever, una sostanziale carenza di aumento della produttività. Senza la quale, e siamo di nuovo tutti d’accordo, niente ripresa. [A meno che, sia detto per inciso, non vi sia una ripresa delle politiche fiscali attive, dicono i sostenitori della tesi della ‘stagnazione secolare’, una ripresa la quale dia il tempo e il motivo alle forze del progresso tecnologico e dell’innovazione di affermarsi in tutta la propria potenza.]



Al che, cosa risponde il professor Mokyr? Beh, questo sarà il cuore della sua lezione, e vorrei lo sentissimo tutti direttamente da lui, lunedi mattina.

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