Scenari economici

Inflazione al palo, euro fermo: cara Bce, perseverare con il QE è diabolico

Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha annunciato l’estensione del quantitative easing: da aprile acquisti mensili da 60 miliardi di euro. La decisione, ancora una volta, non invertirà la dinamica dei rendimenti sui bond governativi, che continuano a crescere (meno che negli Usa). Intanto, l’euro non si deprezza e l’inflazione non aumenta

Pubblicato il 09 Dic 2016

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Avevo preparato per il 9 dicembre un pezzo sulla sharing economy, tema che ho trascurato un poco, ultimamente. Ma poi il comitato di governo della Banca centrale europea si è riunito proprio il giorno prima, l’8 novembre, e subito dopo il presidente della Bce, Mario Draghi, ha letto il relativo comunicato stampa e ha risposto alle domande, sempre più insulse, dei giornalisti presenti. E quindi ho deciso di parlare di politica monetaria. Cosa che farò ancora dopo la riunione del Federal Open Market Committee in programma il 13 e 14 dicembre, e seguito anch’esso, come prevedibile, da comunicato stampa e dichiarazioni della presidente Janet Yellen.

L’obiettivo è dunque formulare delle ipotesi circa gli effetti del diabolico perseverare della Bce.

Mario Draghi

Con il mio ultimo post su Trump attiravo l’attenzione sul fatto che il mix di politica economica annunciato in campagna elettorale dal president elect Donald Trump, e poi articolato dal suo transition team, è tale, se attuato, da produrre disavanzi crescenti del bilancio del governo federale Usa. Ora, questo disavanzo non può che essere finanziato da emissione di nuove obbligazioni, di maturità ancora sconosciuta ma di ammontare sostanziale, tale cioè da influenzare significativamente il loro rendimento (a parità di domanda di questi titoli, un aumento dell’offerta può essere assorbito solo a prezzi decrescenti o, equivalentemente, ‘stimolando’ la domanda mediante rendimenti crescenti). Bene: in questo momento il decennale usa paga un rendimento del 2,346%, contro l’1,766 di prima delle elezioni.

In questo quadro di tassi crescenti si collocano dunque le scelte annunciate dalla Bce. Le quali, fatta la tara ed eliminate le infiorettature, sono state queste:

  1. L’acquisto di obbligazioni sul mercato secondario, pubbliche per 60 miliardi di euro e private per 20 miliardi di euro, continua come previsto fino alla fine di marzo 2017;
  2. Gli acquisti vengono estesi dalla fine di marzo fino alla fine dell’anno, anche se da aprile l’ammontare torna a essere di 60 miliardi al mese (come era originariamente a partire dal marzo 2015). Tutto questo fermo restando che, per evitare di spaventare la domanda di obbligazioni, il comitato direttivo si è riservato di estendere ulteriormente gli acquisti oltre la fine del 2017 “se si rivelasse necessario”.
  3. Saranno acquistati anche titoli a rendimento negativo superiore in modulo allo 0,4%: peggioramento per la Bce, altro regalo a governo e banca centrale tedeschi. E saranno acquistati anche titoli di maturità più corta, se ritenuto necessario;
  4. Rimane fermo il principio del capital key, secondo il quale gli acquisti avvengono in proporzione alla quota di capitale della Bce detenuta da ciascuna delle 18 banche nazionali dei paesi virtuosi. Rimangono esclusi i titoli del governo greco, cioè del paese che più di ogni altro ne ha bisogno e che conta per circa l’1,5% in termini di capital key, contro il 22% circa della Germania. La Grecia è stata scelta a esempio del destino che tocca ai piccoli membri dell’Unione economica e monetaria, e non si intende mollare.

Chiediamoci: ma perché ancora estensioni? La risposta ufficiale è: perché il tasso di inflazione è ancora ben sotto l’obiettivo del 2%, tanto è vero che la previsione è dell1,7% nel 2019 e che i piccoli spostamenti verso l’alto che stiamo osservando sono l’effetto dell’aumento del prezzo dei prodotti energetici. Incredibile, l’ha detto lui! In diretta tv. Mentre sosteneva che il loro quantitative easing è impotente, ringraziava anche i prodotti energetici per la mano che stanno dando a mascherare l’impotenza dello strumento monetario. Ma insomma, pensano che siamo deficienti? Pensano che non sappiamo che l’inflazione dipende dall’eccesso della domanda sull’offerta, non dai giochini monetari della banca centrale a sostegno del debito tedesco, il quale non ne ha alcun bisogno, e dei detentori di obbligazioni, cioè fondi comuni di investimento, fondi previdenziali, banche e intermediari in genere (che non ne hanno bisogno)?

Se il comitato direttivo della Bce pensava di ottenere risultati sul fronte dei rendimenti, è rimasto deluso, poiché questi sono saliti. Qualcuno dirà: se non avessero annunciato quella politica sarebbero saliti ancora di più. Embè? Perché, si vuol dire che ne sarebbe stata danneggiata la spesa per investimenti? Ma per piacere, in gran parte dei paesi UEM non si spende un centesimo, di investimenti privati! O, si dirà, ma questo annuncio ha prodotto un deprezzamento dell’euro, il che avvantaggia le esportazioni dall’eurozona: balle, l’euro si è apprezzato subito dopo l’annuncio perché i trader non avevano capito la portata dell’annuncio (giustificati, difficile capire e agire in pochi minuti), e si è deprezzato quando il significato è stato capito. In buona sostanza, ci volevano 1,065 dollari per comprare un euro nei primi giorni di dicembre, ci vuole 1,065 dollari oggi. Le terze decimali le lascio a quelli che si occupano di problemi del terzo ordine di grandezza (ad esempio, i currency trader). E poi questa storia della ricerca ossessiva del deprezzamento deve finire, poiché non è attraverso di essa che mai si otterrebbe uno stimolo alla domanda aggregata misurabile quanto a effetti sul livello dell’attività produttiva. Lo dice da anni Mario Draghi, e lo ha ripetuto anche ieri: la politica monetaria da sola non ce la fa, occorre che scendano in campo riforme strutturali e politiche fiscali growth friendly, “amiche della crescita”.

Problemi: le ‘riforme strutturali’ sono misure i cui effetti, ammesso che vengano adottate, si vedono nell’arco di decenni (e comunque mi si deve spiegare perché la riforma del Consiglio superiore della magistratura dovrebbe far aumentare la produttività delle imprese); e quando invoca politiche fiscali growth friendly, Draghi aggiunge “nel rispetto della normativa e degli accordi in essere”. Vale a dire, bilanci in pareggio!

In tutto questo, decisioni sui tassi di policy da parte della Fed tra pochi giorni. L’orientamento è al rialzo, quindi tasso sui federal fund (‘tasso di sconto’) su di 25 punti base. Aumento ampiamente scontato dal mercato, sembra ma si dice anche che potrebbe essere il primo di tre o quattro tra ora e la fine del 2017. Arrivederci al 15 dicembre.

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