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Industria 4.0, tra il dire e il fare ci sono le fabbriche invecchiate

In un’azienda su tre le macchine hanno più di 20 anni e l’informatica è sconosciuta. Le Pmi sanno che l’innovazione è importante ma non stanno facendo nulla. Non servono (solo) incentivi, ma un salto culturale per non finire travolti dalla quarta rivoluzione industriale

Pubblicato il 27 Gen 2016

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La rivoluzione non dorme, diceva uno slogan di qualche tempo fa. La quarta rivoluzione industriale, quella che dovrebbe portare le tecnologie digitali nelle fabbriche italiane, sembra invece russare. Di Industria 4.0 si parla ormai da cinque anni, nell’ultimo sempre di più. Confindustria ha fatto suo il termine, il governo ha messo in un documento le sue priorità. Ma quando si passa dai convegni ai fatti il panorama cambia. Bastano pochi numeri per capire quanto ci sia ancora da fare per portare la manifattura italiana in una nuova era.

Mai gli impianti industriali italiani sono stati così vecchi. Sono oggi molto più vecchi di 10 anni fa. In una fabbrica su tre hanno più di 20 anni. E solo in una su 10 ne hanno meno di 5. I dati arrivano dall’UCIMU, l’associazione di Confindustria che riunisce le aziende che producono macchine utensili appunto. Robot e automazione, un settore in cui l’Italia ha una riconosciuta tradizione di eccellenza, non sembrano trovare buoni clienti in casa. Saremo ancora la seconda manifattura d’Europa dopo la Germania, ma siamo un po’ logori. Non solo i macchinari non aumentano, ci dice ancora l’Ucimu, ma sono anche poco automatizzati (il 32%) e sono addittura diminuite le macchine con integrazione informatica. Quasi l’80% delle aziende risulta essere “semplice”, cioè senza alcuna integrazione degli impianti produttivi in un sistema informatico. In sintesi, la gran parte delle aziende italiana conosce ancora poco o punto la tecnologia. L’indagine viene svolta ogni 10 anni e il quadro relativi al 2014 è più preoccupante di quello che emergeva all’inizio del millennio. Ovviamente UCIMU chiede incentivi per uscire dall’impasse. Ma non sarà qualche “aiutino” a permettere che la Smart Manifacturing passi dai titoli dei convegni e dei report alle fabbriche.

Giri pagina del Sole24Ore e trovi la conferma. C’è in ballo la competitività del sistema industriale italiano e, di conseguenza, del Paese. Il tema dell’Industria4.0 è nelle agende dei leader globali, come è emerso anche al recente summit di Davos. Ma non sembra essere in quelle delle imprese italiane. Se in casa hanno mezzi di produzione superati è semplicemente perché non hanno investito e non sembra abbiano intenzione di cominicare a farlo. Sette aziende su 10 dicono che la tecnologia sarà fondamentale per crescere, ma solo 3 su 10 stanno facendo qualcosa. Questa consapevolezza impotente emerge da un sondaggio, di cui da notizia il quotidiano di Confindustria, realizzato da Staufen Italia, società di consulenza che ha chiesto a un centinaio di Pmi italiane che cosa stanno facendo sulla fabbrica intelligente. La risposta è chiara e forte: poco o nulla. Hanno qualche idea su che cosa sia, ne parlano e ne sentono parlare, ma sono pochissime ad aver già cominciato a fare qualcosa, e chi sperimenta lo fa soprattutto nell’area della logistica.
Perché? Ovviamente la risposta è autoassolutoria: mancano le competenze tra i dipendenti. Ma non sembra ci sia la volontà di intervenire sul deficit: la maggioranza non ha in programma di fare formazione in questo settore. La conclusione è tragicomica. Alla domanda su chi saprà meglio cogliere le opportunità offerte dalla Smar Manifacturin gli imprenditori italiani si autocollocano al penultimo posto, installando nelle prime posizioni Giappone, Usa, Germania, Uk. I tedeschi, invece, si autocollocano al primo posto. Altro che incentivi, qui ci vorrebbe una seduta di massa da un superpsicanalista abile a risvegliare l’autostima.

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