Politica economica

Il Made in Italy va all’estero ma non è ancora ben difeso

C’è un legame stretto fra tutela della proprietà intellettuale e innovazione. Soprattutto quando si affrontano i mercati internazionali. Il governo fa ancora molto poco per sostenere le imprese. Prendiamo il caso dell’India, dove brevetti e marchi sono sempre a rischio. E le reazioni sono deboli

Pubblicato il 11 Dic 2014

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Pietro Paganini

L’Indice Internazionale per la Tutela della Proprietà 2014 di cui ho scritto di recente su EconomyUp evidenzia il legame stretto che esiste tra la tutela della proprietà e l’innovazione. La tutela della proprietà è quindi un fattore chiave per le imprese italiane del “Made in Italy” che vogliono esportare. La questione della tutela resta tuttavia ristretta ai circoli di tecnici, quasi sempre giuristi. Sono loro gli esperti che si occupano di elaborare l’impianto normativo che dovrebbe garantire a chi fa innovazione un adeguato vantaggio competitivo. Sono loro a suggerire alle imprese come tutelarsi e sono ancora loro a preoccuparsi di difenderle quando le norme vengono infrante o addirittura non vengono applicate – o ci si dimentica di applicarle come spesso succede in Italia.

Il lavoro che svolgono è egregio, ma resta limitato se non supportato da un’azione politica di sostegno coerente, che non dovrebbe soltanto occuparsi di fare le norme ma di farle applicare, soprattutto quando l’ambiente di riferimento è internazionale. Le imprese che fanno e esportano R&S devono essere sostenute quando vanno all’estero. In generale tute le nostre imprese dovrebbero essere sostenute dal Governo italiano e dalle sue istituzioni allo scopo strategico di meglio posizionare il nostro Paese e garantirci un’economia più prospera.

Se l’assenza dello Stato è giustificabile quando ci sono contenziosi internazionali tra privati, la mancanza di una strategia intorno all’export e quindi alla tutela di tutto ciò che rientra nel “brand” Made in Italy non lo è. Non potrebbe essere altrimenti vista la desolante assenza di una vera politica industriale che anche il Governo attuale ignora con i risultati che sono visibili a tutti. Nemmeno i nomi altisonanti ingaggiati dal Premier sembrano preoccuparsi di sostenere le nostre aziende all’estero. L’Italia è un Paese grande in Europa, ma piccolo nel mondo. L’apertura dei confini ci ha portato notevoli vantaggi ma saturato il nostro mercato interno rendendo la vita difficile alle nostre imprese. Se vogliamo sopravvivere, imprese e prodotti vanno tutelati. Come nel linguaggio calcistico dobbiamo giocare bene in casa, ma soprattutto andare a vincere fuori e per farlo dobbiamo imporre il nostro gioco, cioè le cose che sappiamo fare meglio.

Certamente i molti organi preposti al sostegno della nostra industria all’estero sciorineranno numeri da capogiro. Noi ci dobbiamo attenere ai risultati, che parlano chiaro – come dimostrano anche una serie di focus group e interviste realizzate da Competere.eu che evidenziano la solitudine dell’imprenditore italiano all’estero. I mercati rilevanti sono fuori. Si aiutano le imprese con il TTIP ma anche guardando a est. Prendiamo l’India per esempio, dove siamo il terzo Paese europeo per investimenti diretti con una crescita complessiva del 59% tra il 2011 e il 2012. Negli ultimi 20 anni, dal 1991 al 2011, l’interscambio commerciale Italia-India è cresciuto di 12 volte, passando da 708 milioni a 8,5 miliardi di Euro.

Gli scambi potrebbero essere più sostanziosi se l’India rispettasse alcune regole fondamentali del commercio internazionale. I negoziati avviati nel 2007 per un Free Trade Agreement, un’area di libero scambio equivalente al TTIP, si sono interrotti nel 2013. Andrebbero ripresi proprio per sostenere le nostre imprese. L’India è un paese protezionista: una serie di norme di contenuto locale (dunque diverse di regione in regione) contengono modalità discriminatorie e favoriscono procedure di appalto meno onerose per i soli locali. La tariffa media sui prodotti import/export è del 14,5% e in determinati settori, ad esempio le automobili, arriva al 60%, mentre raggiunge il 150% su vini e liquori. Inoltre i dazi sull’esportazione di materie prime per prodotti in pelle rendono l’India poco appetibile come punto di rifornimento O RIFERIMENTO per i conciatori europei e italiani.

A questo si deve aggiungere che il colosso asiatico poco tutela i diritti di proprietà, a cominciare da quella intellettuale. E’un vero problema per la nostra economia del Made in Italy che si fonda sulla tutela di brevetti e marchi. Nonostante le modifiche apportate alle legge sui brevetti del 2005, l’India continua a non dotarsi di un solido regime di tutela dei diritti di proprietà. Contraffazione, pirateria e contrabbando restano purtroppo un pilastro dell’economia indiana, come nel settore farmaceutico dove piccole imprese locali copiano malamente quanto prodotto in Occidente.

La forza di un Paese e la sua prospettiva di crescita, nonchè la speranza per le giovani generazioni, non si misura solo con le riforme interne, ma anche con la capacità strategica di posizionarsi a livello internazionale, proporre l’agenda e i modelli di sviluppo. Solo così saremo più prosperi e rispettati.

*Competere – John Cabot University

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