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Il business plan è morto, sopravvivono i finanziamenti e le persone

Un tempo erano considerati la panacea di tutti i mali, oggi al centro vanno portati capitali e talenti. E i BP seguono. Nelle startup saranno le persone di talento a svilupparli e soprattutto a realizzarli, grazie anche ai fondi ricevuti (negli Usa sempre più consistenti) e spesso strappando i top manager alle grandi aziende

Pubblicato il 09 Apr 2017

Private banking ed equity crowdfunding

Cari Startupper e cari Venture Capital italiani, forse non ve ne siete ancora accorti ma il Business Plan è morto. Per anni è esistito il mito del Business Plan, la panacea di tutti i mali. C’erano corsi sul BP, lezioni, TEDx, workshop, eventi che celebravano il “come preparare un perfetto BP”, vademecum, libri, tutorial su youtube.

Il mito resiste perché ha radici lontane. Ma, come sempre, il mercato USA e il settore avanzato delle biotecnologie (Biotech) ci bagnano il naso. Non c’è più attenzione ai BP ma al centro ci sono Capitali e Talenti. I BP seguono. Insomma, servono i soldi e servono gli uomini per fare i piani. Non viceversa. Quindi, cambiano l’ordine dei fattori, il risultato cambia. Eccome!

Negli Stati Uniti i round di finanziamento definiti Series A sono sempre più consistenti e la prima linea di manager nelle startup sempre più ricca. Si veda l’esempio di Magenta Therapeutics: ha ottenuto un finanziamento Series A da 48,5 milioni di dollari, CEO ex GSK, COO e CSO ex Novartis e CBO ex VC in Third Rock. Si parte con la truppa, i capitali e con i generali, il management strappato alle Big Biotech e ai VC. Se i talenti sono talenti svilupperanno e soprattutto realizzeranno i Business Plan.

La velocità è tutto nell’innovazione, si deve partire primi e arrivare primi. I cimiteri sono pieni di startup con Business Plan perfetti.

PS: Ho visto in streaming una parte della convention #Sum01, l’evento organizzato a Ivrea dall’Associazione Gianroberto Casaleggio, curioso di “Capire il Futuro” e soprattutto di apprendere il “Futuro della Medicina”. Così recitavano i titoli della kermesse e di uno degli attesi dibattiti. Ebbene, se il “Futuro della Medicina” è come descritto dal chirurgo Ermanno Leo (http://www.beppegrillo.it, video prima parte, a partire da 2h50’) siamo ancora nell’Alto Medioevo, prima dell’anno 1000 e molto prima della scoperta delle Americhe. Vale a dire, le multinazionali del farmaco sono colpevoli di fare profitti sulla salute, sono quelle che hanno i farmaci per curare ma non li mettono in commercio per tenerci ammalati. Nessun risultato è stato ottenuto con i farmaci, soprattutto in campo oncologico. E i brevetti non dovrebbero esistere per liberare la ricerca.

Nessuno deve difendere le multinazionali che hanno i loro mezzi per farlo, ma non riconoscere l’imponente investimento di ricerca e sviluppo per nuovi famaci e terapie è avvilente. Poche industrie, forse nessuna, investe così tanto in innovazione. E ancor più grave è non comprendere (o peggio nascondere) che se non ci fosse la possibilità di brevettare nessuno prenderebbe il rischio di investire in ricerca e quindi non ci sarebbero nuove medicine. Infine, per verificare l’avanzamento della scienza basti vedere al risultato straordinario di Strimvelis oppure, proprio in campo oncologico, sulle leucemie. Di Ermanno Leo è piena l’Italia, così come di “scie chimiche” le loro menti.

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