Scenari economici

Dov’è il deprezzamento dell’euro atteso come effetto del quantitative easing?

L’acquisto massiccio di titoli del debito dei paesi europei, 3 mesi dopo, non ha portato a una svalutazione della moneta unica rispetto al dollaro. Anzi… Perché il cambio non dipende solo dalla BCE e dalle sue decisioni, ma anche dalla FED e dalle sue misure

Pubblicato il 10 Giu 2015

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In un pezzo pubblicato il 30 aprile scorso scrivevamo:

L’operazione QE.
Si sa che il 9 marzo scorso il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) ha dato l’avvio ad una operazione della durata presunta di diciotto mesi con la quale mensilmente il SEBC acquisterà titoli del debito emesso dai governi dei paesi membri dell’UEM. Lo scopo dichiarato di questo è, ovviamente, ricondurre il tasso di inflazione medio nell’UEM vicino al 2%, come da Statuto della BCE.

Effetti collaterali attesi
Un effetto collaterale dell’operazione potrebbe essere il deprezzamento dell’Euro in particolare rispetto al Dollaro e, conseguentemente, dicono alcuni, un aumento della competitività di prezzo delle esportazioni delle merci prodotte in area Euro. In breve, dovremmo vedere deprezzamento dell’Euro e aumento delle esportazioni italiane verso l’area del Dollaro.

Oggi ci limitiamo ad una verifica dell’ipotesi secondo cui il QE europeo avrebbe dovuto produrre un deprezzamento dell’Euro, mentre lasciamo ulteriori considerazioni circa gli effetti sulle esportazioni ad un prossimo pezzo.

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Questo primo grafico mostra che il deprezzamento dell’Euro è cominciato in concomitanza con la dichiarazione del presidente BCE all’inizio di aprile 2014, quando disse “..non escludo un allentamento monetario”. Il deprezzamento è proceduto per undici mesi, fino alla prima operazione di acquisto effettuata dal SEBC il 9 marzo 2015, ed un poco oltre. Ricordiamo infine che l’annuncio che le operazioni di QE sarebbero state effettivamente avviate è del 22 gennaio 2015. Ne concludiamo che tutto il deprezzamento da 1,40 a 1,15 $/€ avvenuto tra aprile 2014 e gennaio 2015 non si è verificato per effetto del QE, bensì per effetto dell’attesa che una qualche forma di “allentamento monetario” avrebbe avuto prima o poi luogo.’ Come era già avvenuto nel 2012, le parole di Draghi pesano. O, se si preferisce, la politica fatta di parole e non di atti. O, ancora, le parole pesano.

L’annuncio ufficiale che la BCE adotterà una politica di QE viene a valle alla riunione del consiglio direttivo del 22 gennaio 2015, annuncio completo della data di avvio delle operazioni, del loro ammontare, della loro durata. Il secondo grafico, assai ricco di informazioni e di non facile lettura, ci dice che:

  1. Il cambio è oggi 10 giugno grosso modo dove era all’inizio di marzo, cioè immediatamente prima della prima operazione di QE. Se prendiamo a riferimento questi due punti nel tempo, quasi quattro mesi di QE ma deprezzamento non ve ne è stato;
  2. Certo, la scelta di questi due punti è arbitraria. Ma si noti che fino al 19 maggio, giorno in cui ci viene fatto sapere che la BCE anticiperà a fine maggio e tutto giugno l’acquisto di titoli che ci immaginavamo avrebbe effettuato nei mesi di luglio e agosto, la tendenza è all’apprezzamento dell’Euro, il contrario di quanto molti (quasi tutti) si aspettavano;
  3. E allora? Beh, la ragione per cui abbiamo preparato un grafico tanto ricco di informazioni è semplice: come si può facilmente immaginare, il cambio $/€ non dipende solo dalla BCE e dalle sue misure; esso dipende anche dalla FED, e dalle sue misure. Si noti ad esempio che cosa succede il 22 maggio: la presidente Yellen dice che se la situazione dell’economia Usa continuasse a migliorare, allora un aumento del tasso di sconto (federal fund rates) già nel 2015 sarebbe appropriato. Effetto? Apprezzamento del Dollaro (e dunque deprezzamento dell’Euro, visto che l’attesa di tassi in crescita negli Usa fa vendere Euro per acquisire Dollari con i quali comperare obbligazioni che renderanno più di quanto non rendano oggi).

E ancora, si noti cosa succede all’inizio di giugno a seguito dell’annuncio da parte del governo Usa che sono stati creati 280 mila nuovi posti di lavoro contro i 225 mila attesi: il dollaro si apprezza. Semplice: se l’economia sta creando più occupazione del previsto, allora aumenta la probabilità che la scelta di aumentare il tasso di sconto possa essere effettivamente adottata senza timore di strangolare con tassi crescenti un’economia fragile.

Così ragionano ‘i mercati’.

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