Scenari Economici

La Brexit è l’inizio della regressione dell’Unione europea? Con queste élite è possibile

Dal dopoguerra ai primi anni del 2000, pace, benessere e crescita economica del Vecchio Continente avanzavano di pari passo con l’integrazione della Ue. Nel 2004, c’è stata una battuta d’arresto che è durata finora. L’uscita del Regno Unito sembra essere un punto di inversione del processo e un ritorno verso gli stati-nazione

Pubblicato il 28 Lug 2016

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Prendiamo qualcuno che sia nato nel 1943, ricordando che quello fu l’anno in cui Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, antifascisti e quindi confinati a Ventotene dal regime, scrissero Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto. Noto da allora come il Manifesto di Ventotene.

Chiediamoci: che vita ha vissuto questa persona? Beh, direi che dopo un’infanzia disgraziata passata tra due anni di guerra guerreggiata prima e altri tre o quattro passati a osservare un avvio faticoso della ricostruzione del paese, questa persona ha vissuto bene. Voglio dire che ha vissuto per decenni in un paese, in un continente, in cui tutto si muoveva in una direzione univoca e permanente: cresceva la popolazione, cresceva il reddito pro capite, crescevano scolarizzazione e produttività, crescevano la vita attesa alla nascita e i consumi, la ricchezza delle famiglie, crescevano qualità e diffusione dell’assistenza sanitaria.

Faccio partire la mia periodizzazione non a caso dal manifesto di Ventotene: questi di cui sto parlando sono i decenni dell’Europa, dalla costituzione della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (Parigi 1951), il primo tentativo comune di trasformare l’industria estrattiva e la siderurgia europee da industria orientata a servire un regime di guerra a una adatta alla pace permanente. E poi il Trattato di Roma del 1957 per la costituzione della Comunità Economica Europea; il 1968, con l’abolizione dei dazi tra i paesi firmatari del trattato di Roma e l’adozione di dazi e tariffe unici per tutti quei paesi nei confronti del resto del mondo; e poi le nuove adesioni, nel 1973, nel 1981 e nel 1986, nel 1995, fino al grande allargamento ad est del 2004 (presidente della Commissione e artefice dell’allargamento ad est, come veniva chiamato allora, fu Romano Prodi); e nel frattempo la Bce e l’euro…

1943-2004: una vita intera passata senza guerre né lutti, dunque, con una coscienza più meno lucida che la crescita non poteva essere dissociata dalla costruzione dell’Europa. Certo, grilli parlanti, anime belle e mestatori nel torbido ce n’erano eccome, ma presa ne facevano poca: quando il reddito cresce, la qualità della vita migliora, e lo spazio per odio e xenofobia è limitato. E questo sembrava a quella persona un dato di fatto, un processo permanente. Irreversibile. Chi sa che il pensare umano non è indipendente dall’ambiente in cui si vive e dalla vita che si conduce non avrà difficoltà a giustificare questa persona, questo modo di pensare.

Ma, sappiamo oggi, circa nel 1980 si avviò un processo di rallentamento della crescita in tante delle variabili demografiche ed economiche di cui sopra, un rallentamento che oggi consideriamo l’inizio di una fase di stagnazione secolare. Fine della permanenza, fine della monodirezionalità, fine della crescita. E, si noti bene, da circa il 2004 fine della battaglia iniziata a Ventotene, fine dello sforzo per un’Europa unita. Non mi stancherò mai di sottolineare questo fatto, questa correlazione che a molti sfugge e che molti altri nascondono con grande attenzione: la fine della battaglia per l’Europa è coincisa con la fine dell’epoca della crescita del benessere. Relazione di causalità? Pensala come vuoi, sulla coincidenza però non si discute.

Questa impostazione dell’analisi consente di porre il quesito rilevante in questa fase: ma Brexit, che cosa rappresenta per il binomio crescita economica cum approfondimento e allargamento dell’Unione? È un incidente di percorso, l’espressione della disattenzione di pensionati britannici che non hanno capito che uscire dall’Ue sarebbe costato loro un fracasso di soldi in pensioni più basse, il risultato di una ventata di xenofobia generata da politiche scellerate di austerità? O è anche, e soprattutto, punto di inversione del processo, l’inizio della regressione da Unione a stati-nazione, l’affermazione eclatante della riappropriazione da parte degli stati-nazione di quei poteri che negli anni della crescita e dell’ottimismo avevano delegato all’Unione?

Beh, tutto questo dipende dalla reazione delle élite politiche, ovviamente. Ma sono proprio queste a preoccuparmi. Tanto per citare direttamente un membro di queste ‘élite’: “Non serve una politica europea dell’immigrazione, chi li vuole se li prenda”. Si sente il disprezzo, il razzismo, il menefreghismo dello pseudo benestante? (Inciso: chi sa da dove/quando viene l’espressione “me ne frego”?). E si sente la voglia di non fare cose insieme, di non cercare unità/Unione? Si, questi governi in carica mi preoccupano.

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