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Acceleratori, opportunità per le startup o per le aziende fondatrici?

A Londra ci sono circa quaranta incubatori e programmi di accelerazione. Ma c’è chi denuncia una certa superficialità da parte dei gruppi che decidono di sostenere le nuove imprese innovative incubate

Pubblicato il 18 Nov 2015

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Entrare nell’acceleratore di una banca o di una grande corporate è per molti startupper l’occasione per fare il “salto di qualità”. Ma è davvero un’opportunità per i giovani imprenditori o soltanto un vezzo per le società “old style” per perseguire l’agognata innovazione?

Non è un segreto che molte delle aziende che compongono l’indice FTSE100 (le prime cento società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange) fanno oggi fatica a tenere il passo della trasformazione digitale e ogni sterlina investita nelle startup innovative è percepita come un investimento per incrementare l’efficienza IT.

Da uno studio di Virgin Media Business, realizzato da Oxford Economics, risulta che, secondo le imprese nel Regno Unito, le potenzialità del digitale aiutano ad aumentare il fatturato del 4,4% e a diminuire i costi del 4,3%. Lanciare un proprio acceleratore è un buon modo per portare all’interno dell’azienda il know how tecnologico.

Da quando, meno di 10 anni fa, è stato inaugurato in Europa Seedcamp (2007) sul modello di Y Combinator, il numero degli acceleratori nel Vecchio Continente è aumentato vertiginosamente, superando i 100 programmi. Londra, in particolare, ha la più alta concentrazione – circa una quaratina tra acceleratori e incubatori – molti dei quali nati sotto il tetto di grandi colossi come Barclays, Microsoft, Santander, Telefonica e John Lewis. Tutti sperano di portare al successo la propria Airbnb o Dropbox (entrambi tra gli alumni di Y Combinator), ma dietro tante belle promesse spesso si nasconde poco di più di una bella scrivania con vista sulla City e birra gratis. Un vero e proprio “turismo di startup”, come lo ha definito Jon Bradford, cofondatore di F6S e tech.eu ed ex capo di TechStars London. Parlando alla conferenza di Wayra, Bradford ha lamentato una certa superficialità da parte delle imprese che decidono di sostenere le startup. “Siamo al centro di un cerchio – dice Bradford – nel quale è considerato cool avere una propria startup. Ma non si deve mirare a essere cool, quanto a cambiare il mondo. E se non si prendono sul serio le startup, il rischio è che anche loro non prenderanno sul serio te. Non basta fare un po’ di mentoring. Occorre investire seriamente nelle startup e quindi nell’innovazione”.

Non si tratta dell’unica voce fuori dal coro. Anche la fondatrice di Entrepreneur First, uno degli acceleratori europei più selettivi, Alice Bentinck, 29 anni, ha puntato il dito contro la presenza di molti incubatori e venture capitalist che utilizzano il modello “spray and pray” ovvero “distribuiscono denaro a caso, sperando che un’idea si trasformi in una compagnia multimilionaria”. L’idea di fondare EF, insieme con il socio Matt Clifford, 29 anni, è nata per portare in Europa l’alter ego di Harvard nel mondo dell’innovazione. In quattro anni, EF ha creato 50 startup che hanno raccolto 60 milioni di dollari in fondi esterni da alcuni dei più grandi nomi del venture capital, come Index, Octopus e Balderton, con una valutazione collettiva di 210 milioni di dollari.

Sia Jon sia Alice sono convinti che il fattore discriminante nel “far west degli acceleratori” consista nella qualità dei mentor e nel percorso di tutoraggio, perché i soldi si possono trovare anche in altro modo.

L’ultimo che si aggiunge alla lista londinese è l’acceleratore di Virgin Media, la società inglese di telecomunicazioni, in collaborazione con Techstars. Un progetto che porta nuovamente Richard Branson, fondatore di Virgin, in prima linea sul piano dell’innovazione e dello scouting di nuove tendenze digitali (nonostante l’ufficio stampa non si sia espresso sulla sua possibile presenza tra i mentor). Il Virgin Media Accelerator sarà inaugurato all’inizio del 2016 ed è già online la possibilità di candidarsi per far parte della rosa di 10 startup che saranno ammesse al programma di 13 settimane (dal 27 marzo al 23 giugno 2016). La chiamata è per tutte le imprese innovative che si occupano di Internet of Things, infrastrutture di telecomunicazione, customer data ed experience, imprese sociali, case, oggetti e servizi connessi, esperienze interattive all’interno delle case, servizi business interconnessi, salute domestica e benessere, connettività in campo sociale. In cambio della partecipazione e di un investimento di 13 mila sterline per ogni startup è richiesto il 6% del capitale azionario ed è possibile ottenere altre 65 mila sterline, convertibili in loan note, in cambio di un’ulteriore partecipazione del 4%. Nessuna notizia su quale palazzo della capitale inglese sia ricaduta l’attenzione di Virgin Media e Techstars, né sui mentor che si occuperanno di aiutare i partecipanti a trasformare le loro idee in business durevoli. Si parla soltanto di esperti provenienti dalla rete di contatti di Virgin Media e dell’associata Liberty Global e dal network globale di Techstars che conta oltre settemila fondatori, mentor, investitori e partner aziendali. Le premesse sulla qualità sono buone, vedremo se questa volta spunterà il nuovo unicorno.

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