Fisco&Innovazione

Startup e credito Iva: una soluzione per liberare risorse

Le nuove imprese, non avendo ricavi e comprando servizi da terzi, si trovano così ad avere il 22% delle risorse congelate in attesa di rimborso (lunghissima). E non possono investire in ricerca. Basterebbe applicare il cosiddetto “reverse charge”, almeno fino all’ammontare delle risorse raccolte proprio per ricerca e sviluppo.

Pubblicato il 13 Ott 2015

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Spesso, il sistema tributario italiano presenta inconguenze. Una macroscopica è legata alle norme agevolative riguardanti le startup che investono in ricerca e sviluppo. In particolare, come noto, il legislatore fiscale ha riconosciuto la detrazione fino al 20% sui versamenti fatti a favore di tali società, con l’intento di finanziare attività che altrimenti avrebbero avuto difficoltà a raccogliere capitali di rischio. Allo stesso modo, considerato che tali società non potranno produrre ricavi per diversi anni, è stato stabilito che tali società non rientrano tra quelle cosiddette “di comodo” le quali subiscono la tassazione anche in mancanza di ricavi.

Tuttavia, non è stato considerato che le startup solitamente non hanno una struttura autonoma e quindi acquistano servizi da terzi che ovviamente sono assoggettati a IVA. Pertanto, non producendo ricavi, le startup si trovano nella spiacevole situazione di avere rilevanti crediti IVA il cui rimborso da parte dello stato è soggetto alle regole ordinarie previste dall’art. 30 del D.P.R. 633/72 e quindi a tempi lunghissimi (diversi anni) per il loro recupero.

Considerato che i servizi acquistati sono assoggettati a IVA con l’aliquota ordinaria del 22%, di fatto il 22% delle risorse disponibili delle startup rimane “congelato” in attesa di rimborso e non potrà essere utilizzato per effettuare ricerca e sviluppo.

In realtà la soluzione esiste ed è molto semplice: basterebbe che le startup (i cui requisiti sono peraltro già obbligatoriamente certificati e ribaditi periodicamente con l’iscrizione a una sezione speciale del Registro delle Imprese) potessero applicare il cosiddetto “reverse charge” per l’acquisto di beni e servizi almeno fino a concorrenza delle risorse finanziarie raccolte proprio per l’attività di ricerca e sviluppo. L’art. 17 comma 6 lettere a) e a-bis) del suddetto D.P.R. 633/72 è stato introdotto anche per evitare che le imprese edili si trovassero in crisi finanziaria e per evitare enormi richieste di rimborso di crediti IVA.

Basterebbe che fosse introdotta una lettera aggiuntiva “a-ter” proprio per le startup. In questo modo, di fatto, anche tali società non dovrebbero anticipare l’IVA sugli acquisti di beni e servizi liberando automaticamente le risorse finanziarie per l’attività di ricerca e sviluppo.

* Livio Strazzera, commercialista e fondatore dello Studio Strazzera Dottori Commercialisti, Milano

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