Quando passa Nuvolari

Grom è partita (e l’Italia ha perso un’occasione)

La vendita a Unilever dell’azienda brucia nell’anno di Expo e in un settore in cui negli ultimi 18 mesi sono stati investiti oltre 5 miliardi di dollari in startup. L’Italia non può tornare a crescere se le sue imprese non ricominciano a investire

Pubblicato il 06 Ott 2015

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Per il titolo di questo pezzo mi è venuto in mente il titolo di un film di Francesca Archibugi, Mignon è partita, perché è una storia malinconica con un “cosa sarebbe successo se” non fosse mancato il coraggio e si fosse agito diversamente cogliendo un’occasione invece andata irrimediabilmente perduta. Il cinema regala emozioni, ma anche il business è fatto di emozioni. L’emozione creativa dell’imprenditore, la relazione tra marchio e clienti, il coraggio d’investire. Ma non ci sono solo emozioni ma anche numeri, e la finanza è materia di soldi e tempo.

In questi giorni si è molto sviluppata la discussione sulla vendita ad Unilever della Gromart società proprietaria del marchio GROM. La storia dei due imprenditori Guido Martinetti e Federico Grom ha appassionato ed il libro “Grom. Storia di un’amicizia, qualche gelato e molti fiori” ha contribuito a renderla popolare. Il gelato di Grom più o meno penso che lo abbiamo assaggiato tutti, io spesso con i miei tre figli e lo associo soprattutto a momenti belli in vacanza. Ricordo le visite ai negozi di Modena, Roma, Siena, Trento e Venezia, tutti strategicamente posizionati. GROM ha associato bontà a bellezza, e scusate se è poco.

Il marchio GROM è diventato in pochi anni un “lovemark brand”, ovvero un marchio che gode di alto amore e rispetto tra i suoi clienti. Secondo la tradizione Italiana per cui il successo non si perdona c’è anche chi ha lavorato poi per farsi pubblicità contestando la definizione di “artigianalità” del gelato servito da GROM con una azione di “difesa del consumatore” di cui io credo nessuno sentiva il bisogno tranne chi ne ha fatto una professione quasi trentennale. Non credo che nessun consumatore sia stato “ingannato” da GROM e non penso che nessun piccolo artigiano abbia subito una concorrenza sleale da GROM. Credo invece al contrario che GROM abbia contribuito a mostrare una via per lo sviluppo del business del cibo Italiano di grande importanza, una via che serve a sostenere l’“autentico ed originale”.

La via di GROM coniuga la modernità con la tradizione. Il caso di GROM con il suo “gelato come una volta” è un esempio di un buon marketing e dell’applicazione di una capacità di storytelling efficace e quasi sempre mancante in Italia. Sgomberiamo il terreno da una discussione sterile e sbagliata ovvero la contrapposizione tra artigianale, km 0, fresco di giornata e quant’altro ed industriale. E’ una contrapposizione che non esiste perché si tratta di prodotti non comparabili e perché è cruciale capire la distinzione tra identità ed origine del prodotto. Distinguere il prodotto di qualità di un piccolo produttore da uno di un grande produttore è un tema di cultura. La stessa celebrata Eataly vende prodotti che non sono il frutto del lavoro di una miriade di piccoli contadini ma soprattutto di un’industria che riesce a coniugare volumi e qualità (per chi vuole approfondire consiglio questa lettura).

Il terreno di gioco di GROM non è quello dello stellato chef Massimo Bottura di Modena ma quello del lusso accessibile, dell’esecuzione standardizzata di una buona qualità, quello di un modello di business che coniuga componenti di servizio al cliente ed esperienza con componenti di sistema produttivo industriale. La sfida di GROM è stata ed è sul terreno della scalabilità e della riproducibilità di alta qualità in grandi volumi. Ed è una sfida che si gioca esportando l’Italia e il suo know-how industriale. È la sfida fra made in Italy e “Italian sounding”, e si gioca su un terreno che vale circa 60 miliardi di prodotti falsicontro i circa 25 miliardi di esportazioni di prodotti veri (artigianali ed industriali).

È essenziale per l’Italia un’esportazione di “gusto” che tolga all’“Italian sounding” il suo spazio di vita che non è occupabile con il prodotto artigianale ed “autentico”. Il passaggio è cruciale da comprendere. Il prodotto di origine geografica è per sua natura scarso e limitato e non può scalare in volume. La crescita della domanda viene quindi soddisfatta con l’ampliamento d’offerta che oggi vede fiorire l’industria dell’“Italian sounding”. Perché l’Italia possa beneficiare dell’estensione della domanda di prodotti alimentari d’identità Italiana e perché allo stesso tempo possa veder ancor più valorizzati i prodotti di origine territoriale (rari e non aumentabili in volume) deve occupare lo spazio dell’ ”autentico industriale” ovvero di prodotti di gusto e tradizione Italiana ma prodotti con processi scalabili. Apprezzando il “gusto italiano” i clienti di tutto il mondo saranno poi indotti a venire in Italia ed acquistare a prezzi “premium” l’autenticità artigianale e di territorio.

GROM come tutti ormai sanno era partita a Torino nel 2003 con un solo piccolo punto vendita ed è arrivata (Gromart S.p.A ) ad un fatturato 2014 di 25 milioni di Euro con circa 70 punti vendita e un percorso di internazionalizzazione avviato. L’esercizio 2013/2014 vedeva tuttavia un margine EBITDA negativo, una perdita netta di oltre 2 Milioni ed una PFN netta negativa per oltre 5 Milioni. Questo ha portato i critici a scrivere che gli imprenditori erano “costretti” a vendere e che il “business model” necessitava di messa a punto perché la crescita era rallentata.

L’acquisizione di GROM da parte della multinazionale anglo olandese Unilever è per tanto una sconfitta dell’Italia in quanto sistema industriale e finanziario. La sfida lanciata da GROM sul gelato poteva valere la nascita in Italia – su basi di ricette e saperi Italiani, di gusto Italiano – di un colosso del gelato, così come sono colossi in altri prodotti all’Italia fortemente associati come la pizza di Domino’s , i caffè di Starbucks entrambi americani, ed infine il Nespresso di Nestlè (per il quale Nestlè ha investito per oltre dieci anni prima di vederne l’affermazione). Ben si comprende perché Unilever l’abbia voluta acquistare, ma non altrettanto bene si comprende perché non l’abbiano acquistata / finanziata capitali ed imprese Italiane. Unilever ripete con GROM l’operazione che la portò ad acquisire nel 2001 la Ben & Jerry’s nata nel 1978 da un’idea di Ben Cohen e Jerry Greenfield.

L’Italia non può tornare a crescere e non può avviare una seconda fase di sviluppo dopo quella del dopoguerra se, pur essendo un Paese tra i primi al mondo per ricchezza finanziaria privata ed avendo un’industria alimentare con colossi privati come Ferrero (Lady Ferrero, Maria Franca Fissolo, la moglie di Michele Ferrero, compare al 32mo posto tra i più ricchi del mondo della classifica di Forbes con 23,4 miliardi di dollari) semplicemente non investe.

GROM è partita, forse vedremo Guido Martinetti e Federico Grom diventare manager internazionali al vertice di Unilever come altri Italiani che si sono affermati nelle multinazionali ma si è persa un’occasione. Un’occasione che brucia nell’anno di EXPO a Milano, in un settore in cui nel nel mondo delle startup sono stati investiti negli ultimi 18 mesi oltre 5 miliardi di dollari, e che è oggi molto di più che semplicemente cibo ma anche da dati, velocità (consegna a domicilio) e scienza (come ho già avuto occasione di scrivere su EconomyUp)

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